Un Mercante che affascina i bresciani, ma forse avrebbe potuto farli pensare di più.

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L’opera:

Il mercante di Venezia (The Merchant of Venice) è un’opera teatrale di William, scritta  secondo alcuni nel 1594, secondo altri nella seconda metà del 1596, comunque non oltre il 1598. La trama dell’opera riprende abbondantemente quella di una novella trecentesca di ser Giovanni Fiorentino “Il Giannetto”  prima novella della giornata quarta della raccolta di cinquanta detta «Il Pecorone», che Shakespeare non può aver avuto modo di conoscere nella traduzione di William Painter del 1566, in quanto non conteneva la novella cui Shakespeare si stava ispirando, ma elementi della scena del processo sono presenti nel The Orator di Alexandre Sylvane, pubblicato in traduzione nel 1596.Altre fonti potrebbero essere la versione di R. Robinson dei Gesta Romanorum (1577), e forse un dramma The Jew (1578) ora perduto, di cui parla S. Gosson. In particolare, del Giannetto vengono conservati, pressoché intatti, i personaggi corrispondenti a Bassanio, Shylock e Porzia, oltre che la vicenda della penale di una libbra di carne.

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La trama:

Il nobile veneziano Bassanio, innamorato dell’ereditiera Porzia, per poterla corteggiare, avendo dilapidato le sue sostanze, chiede un prestito al mercante Antonio il quale, in attesa del ritorno delle sue navi cariche di merci, si rivolge a sua volta all’usuraio ebreo Shylock. Costui concede il finanziamento richiesto, a patto che, però, qualora il denaro non venisse restituito alla scadenza concordata, egli avrà diritto di prelevare dal corpo del debitore una libbra di carne. Il matrimonio si celebra ma, essendo nel frattempo naufragate le navi di Antonio, costui si trova nell’impossibilità di onorare i suoi impegni. A questo punto l’usuraio reclama in modo intransigente la libbra di carne.  Risolve la situazione la beffarda sentenza emessa dal Giudice chiamato a derimere la questione, secondo la quale  la libbra di carne potrà essere prelevata, ma solo a patto che ciò avvenga senza spargimento di sangue. Nell’impossibilità di fare ciò, non solo l’usuraio è costretto a rinunciare alla sua rivendicazione, ma gli vengono anche sequestrati tutti i beni, che potrà riavere solo se e quando si convertirà al cristianesimo e darà disposizione che pervengano in eredità alla figlia Gessica, fuggita per sposare un cristiano.

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Lo spettacolo:

L’avevo pensato la prima volta che mi era capitato di vedere questo incomparabile capolavoro Shakeasperiano al cinema, nel 2004, con Al Pacino nei panni di Shylock e Jeremy Irons in quelli di Antonio. La stessa sensazione la ebbi quando lo vidi la prima volta rappresentato a Teatro a Roma, nel 2014. Confermo anche stasera, dopo averne visto la messa in scena al Teatro Sociale di Brescia: «Il Mercante di Venezia» è una di quelle opere da “prendere con le molle”, intendendo con ciò la necessitòà di un’attenta e profonda valutazione interiore del messaggio sotteso alla magnifica struttura narrativa e scenica del dramma.

Perché no, «Il Mercante di Venezia» non è quel che si può definire un testo politically correct.

Dunque, al calare del sipario, anche stavolta ho provato lo stesso disagio provocato da quella non lieve impronta di discriminazione razziale e religiosa che, se ai tempi in cui fu scritto il dramma erano perfettamente nella normalità, oggi risultano, se a un occhio attento si affianca un’anima normalmente sensibile, difficili da digerire.

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C’è tanto livore, tanta rabbia repressa in Shylock, ed è su quello che vengono puntati i riflettori, lasciando sostanzialmente nell’ombra secoli di disprezzo razziale. E le (giuste) rimostranze di costui, che sente se stesso e il proprio popolo “trattati da cani”, escono dalla sua bocca, per evidente volontà dell’autore, come un fastidioso (appunto!) abbaiare di un cane molesto e rabbioso.. Nell’espressione torva, nel linguaggio minaccioso, nell’abbigliamento trasandato, uno stereotipo degli stereotipi, quello che identifica l’ebreo come usuraio.

E, inevitabilmente, mi viene da chiedermi come alcune rappresentazioni in argomento, a partire dalla più eccelsa, come senza dubbio è questa di Shakespeare, con tanto di forzata conversione finale, abbiano contribuito ad alimentare tristemente note e incancrenite derive razziste.

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Detto questo, il livello dello spettacolo offerto agli spettatori della prima bresciana è straordinario. Gli interpreti, tutti, si dimostrano all’altezza del ruolo che sono chiamati a rivestire. Bravissimo Piergiorgio Fasolo, nella parte di Antonio, briosa e impeccabile Valentina Violo nella parte di Porzia e, quanto a Branciaroli…

Quanto a Franco Branciaroli non mi viene da dire altro se non che, pur apparendo evidente il paradosso temporale, nessuno mi potrà convincere che il buon vecchio William non abbia pensato proprio a lui mentre scriveva del perfido (?) Shylock.

Da dieci la scenografia ideata e costruita da Maria Crisolini Malatesta, vicino al massimo anche il voto al regista Paolo Valerio nei confronti del quale, proprio per andare a cercare il cosiddetto pelo nell’uovo, si può forse rimpiangere la mancanza di quel pizzico d’incoscienza che (sempre nel rigoroso rispetto del testo originale di questo autentico capolavoro del Teatro di ogni tempo) consentisse il suggerimento di una possibile prospettiva diversa.

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Traduzione Masolino D’Amico con Franco Branciaroli (Shylock), Piergiorgio Fasolo (Antonio), Francesco Migliaccio (Salerio / Doge) e -in ordine di apparizione- Emanuele Fortunati (Solanio / Principe di Marocco), Stefano Scandaletti (Bassanio), Lorenzo Guadalupi (Lorenzo), Giulio Cancelli (Graziano / Principe di Aragona), Valentina Violo (Porzia) Dalila Reas (Nerissa), Mauro Malinverno (Lancillotto / Tubal), Mersila Sokoli (Jessica)

Regia e adattamento Paolo Valerio – scene Marta Crisolini Malatesta – costumi Stefano Nicolao – luci Gigi Saccomandi – musiche Antonio Di Pofi – movimenti di scena Monica Codena – produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Centro Teatrale Bresciano, Teatro de Gli Incamminati

Si ringrazia per la collaborazione Laura Pelaschiar dell’Università degli Studi di Trieste.

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* Credit foto dello spettacolo Simone di Luca