Moni Ovada e la sua band trascinano il pubblico del Sociale

Non è la notte di Capodanno (non ancora) ma i botti, come si dice a Roma, ma i “botti” al Sociale Moni Ovadia li spara già stasera. Che si tratti del debutto bresciano dello spettacolo «Oylem Goylem» o di un’anteprima di quanto avverrà tra quarantott’ore al Teatro Sociale, come occasione per i festeggiamenti di San Silvestro, con tanto di brindisi a mezzanotte e di qualche fetta di panettone, poco importa: lo spettacolo, che ha trent’anni di vita e che in questa nuova edizione è stato prodotto dal C.T.B. fa centro negli occhi, nelle orecchie e nel cuore del pubblico.

«Sono qui come venditore di ombre» annuncia Moni Ovadia, prima che tutto abbia inizio. «Perché le ombre sono preziose, ma possono essere distrutte dalla troppa luce o dalla troppa oscurità, da un eccesso di virtù o di vizio».

Dopo di che è un susseguirsi frenetico ma sempre armonicoe godibile di aneddoti, argute storielle, colti riferimenti inframmezzate dalla musica suonata dai maestri della Moni Ovadia Stage Orchestra, in una alternanza di parole e note che, le une e le altre, meritano un adeguato approfondimento.

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Cominciamo dai testi, permeati di quella autoironia corrosiva tipica al tempo stesso di quella parte di popolo che secoli di travagliate vicende storiche hanno dotato di una saggezza innata e e della sua intellighenzia speculativa più consapevole ed erudita. Una capacità straordinaria di guardarsi e studiarsi attraverso uno specchio deformante per arrivare a una più piena e reale comprensione della formazione e dell’evoluzione di una cultura ebraica preziosa quanto inimitabile.

E, nello stesso tempo, i riflessi della storia di un popolo costretto a un perenne e dolorosissimo esilio, traendo dalla necessità di convivere con popoli dalle tradizioni completamente diverse, in svariati contesti civili e sociali, l’opportunità di dare vita a una cultura al tempo stesso antica e completamente nuova, creando perfino, con l’Yiddish, una lingua originale e inclusiva.

E, per farlo, Moni Ovadia si serve di figure emblematiche: rabbini (ma anche preti cattolici), bottegai, padri con grandi (persino eccessive) sui propri figli e, soprattutto, la “Yiddish Mama“: il prototipo delle Madri Padrone di ogni parte del mondo e di ogni era geologica, capaci di sprigionare nei confronti sei propri pargoli tanto amore quanto possessiva e implacabile volontà di controllo.

Veniamo alla musica, allora: un susseguirsi estremamente suggestivo e coinvolgente di ballate dalle risonanze mittel ed est europee e zingare, (intarsiate di sonorità ebraiche, naturalmente), impreziosite dalla maestria dei musicisti della Stage Orchestra e dalla espressività vocale e dalla padronanza dello spazio e della scena di Moni.

Mi piace concludere con una di quelle “spigolature” da Settimana Enigmistica del tempo che fu. Durante lo spettacolo, inevitabilmente, mi sono venute in mente alcune delle battute più gelide, caustiche e incisive di Woody Allen (al secolo Allan Stewart Königsberg) e non ho potuto fare a meno d’immaginare il grande attore seduto in platea. Beh, sono certo che avrebbe molto apprezzato lo spettacolo.

Ecco.

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Moni Ovadia è considerato uno dei più prestigiosi e popolari uomini di cultura ed artisti della scena italiana. Il suo teatro musicale, ispirato alla cultura yiddish (che ha contribuito a fare conoscere e di cui ha dato una lettura contemporanea) e caratterizzato da un costante impegno nella difesa dei valori etici e civili e della pace, è apprezzato in tutta Europa e seguito da un vasto pubblico inclusivo di diverse generazioni.Nato a Plovdiv in Bulgaria nel 1946, da una famiglia ebraicosefardita, dopo essersi laureato in scienze politiche, sotto la guida di Roberto Leydi col gruppo Ensemble Havadià intraprende la carriera artistica come cantante e interprete di musica etnica e popolare di vari paesi.
A partire dal 1984 si dedica al teatro  fondendo alla recitazione le competenze di attore e di musicista in collaborazione  con personalità della scena come Pier’Alli, Bolek Polivka, Tadeusz Kantor, Giorgio Marini, Franco Parenti. Nel 1993 con «Oylem Goylem», si impone all’attenzione del grande pubblico e della critica. A questo spettacolo ne seguiranno molti altri quali «Dybbuk» (uno spettacolo sull’Olocausto, tra i più importanti appuntamenti della stagione teatrale – 1995) «Ballata di fine millennio», «Il caso Kafka», «Il Banchiere errante», «Mame,mamele,mamma,mamà…» «L’Armata a cavallo», «Le storie del Sig.Keuner», «Shylock, il Mercante di Venezia in prova». Grande successo di critica e di pubblico riscuote nel 2015 con la messa in scena de «Le Supplici» di Eschilo al Teatro Greco di Siracusa di cui cura la regia e che interpreta con Mario Incudine.
Per il cinema ha lavorato con molti registi, tra cui Roberto Andò, Roberto Faenza, Mario Monicelli e Nanni Moretti.

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di e con Moni Ovadia
e con Moni Ovadia Stage Orchestra
Maurizio Deho’ – Violino
Petre Nicolae – Violoncello
Paolo Rocca – Clarinetto
Albert Mihai – Fisarmonica
Marian Serban – Cymbalon
suono Mauro Pagiaro
scene e costumi Elisa Savi
produzione Centro Teatrale Bresciano, Corvino Produzioni

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