Le fatiche di Eracle prendono lo spettatore alla testa… e alla pancia.

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Una villetta con giardino, le mura rivestite di un bel vestito primaverile (anche se si avvicina l’autunno) di quelli che, per qualche misteriosa e inclita magia hanno il dono di valorizzare non solo il corpo ma anche l’anima di una donna.

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Di una donna, sì, anche se “Bistrò” (seguito dal significativo aggettivo “popolare” (che qui in via Milano assume una ancora più scolpita e definita rilevanza) è un sostantivo maschile, perché di genere femminile sono altre parole che si portano avanti in questo andito, in un quartiere difficile che all’improvviso sta rinascendo, di lato a quella meraviglia architettonica che è il Cimitero Vantiniano: parole  come solidarietà sociale, integrazione, impegno civile, libertà  di pensiero e di espressione. 

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«Oggi vi facciamo assaggiare una specie di cucina del Teatro, di cui il covid ha dilato i tempi, senza però arrestare il progetto di sperimentazione, attraverso il processo di trasporto dei miti nel reale, con l’incontro tra icone della mitologia e personaggi di una mai banale quotidianità.» sono le incisive parole attraverso le quali Giampiero Borgia (Teatro dei Borgia), regista dei tre spettacoli “in divenire” che vengono presentati oggi, domani e venerdì al Bistrò Popolare, di cui abbiamo già fatto ampio cenno.

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Poi l’attenzione è tutta per Christian Di Domenico che, con la radio accesa, sfaccenda e conversa con gli spettatori, offrendo il quadro di una totale quanto ingannevole  normalità.

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Pulisce, cucina, e racconta se stesso, una chiacchierata tra amici che alla prima (più facile e più ingannevole) lettura, lo dipinge come il più sereno degli uomini: una persona curiosa e colta, che cerca e trova sicurezze nello studio, nell’acculturazione e nel continuo ricorso a citazioni. C’è una frase per ogni occasione, a raffica, parlando attraverso le parole sempre argute e spesso geniali di Jacques Prévert, Cesare Zavattini, Gandhi, Ernest Miller Hemingway, Groucho Marx, Lina Wertmüller, Muhammad Ali, Guy de Maupassant e tanti altri.

Racconta la sua vita in una difficile e complessa città come Milano. Una professione, quella di professore, amata e praticata con entusiasmo («Mi alzo presto e non lesino fatica»), un matrimonio ben roiuscito (forse fin troppo tranquillo, però), una figlia di cui è padre sollecito e presente, una solidità economica rincorsa e trovata.

Anche con gli studenti, il rapporto è ottimo: «Non erogo lezioni, ma cerco uno scambio». Consiglia gli studenti cui non eroga lezioni ma cerca uno scambio 

La vita, però, spesso nasconde trappole micidiali, e lo sa fare alla grande fino all’ultimo momento.

Un’allieva lo accusa (ingiustamente) di molestie, e  le parti del suo mondo, che sembrava così solido, cominciano a crollargli rovinosamente addosso una dopo l’altra.  È Il taglio verticale, la madre di tutte le crepe di una vita, l’imprevisto che uccide, attraverso la gogna mediatica, la presa di distanza di tutti, amici e colleghi compresi, verso il reprobo, non importa che sia innocente.

Anche in casa s’insinua il sospetto. Una separazione “civile” ma non per questo meno dilacerante, i soldi che non bastano più, ce ne vogliono troppi per onorare le scadenze del mutuo, per pagare gli alimenti… per campare. Il rischio di perdere tutto, figlia compresa, e intanto deve cominciare a dormire in macchina e andare a mangiare alla mensa degli indigenti.

S’ingegna, cerca di resistere, si aggrappa alla sua preparazione, ai libri che ha letto e ancora una volta alle citazioni che, però, adesso gli si strappano in mano e tra i denti.

«È facile diventare poveri: basta cominciare, il resto viene da sé» ironizza tra i denti, mentre la disperazione prende possesso dei suoi pensieri.

Prova a rimanere se stesso, a diventare un punto di riferimento per i colleghi barboni che, riconoscendone la superiore struttura culturale, lo chiamano “Il Professore”, ma non serve a niente.

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La rovina arriva al punto di rottura, la separazione con la figlia e allora di lui s’impossessa, trionfante, tenebrosa e terribile, la follia.

Cerca di uccidere moglie e figlia, insieme a se stesso.

Ma sopravvive, e proprio questa è la condanna finale.

Bravo, anzi bravissimo Christian Di Domenico, in questa  «Eracle l’invisibile», capace di prendere per mano il pubblico, conquistare la sua fiducia, per poi ingannarlo e sorprenderlo, colpendolo con crudeltà di precisione  chirurgica dritto al cuore. L’attore che inganna il pubblico proprio come la vita, quando vuol essere bastarda, sa ingannare  ogni essere umano. Al tempo stesso allegro, ironico e devastato, accattivante e inquietante. Lucido e pazzo interprete della bella drammaturgia di Fabrizio Sinisi che si è avvalso della collaborazione di Giampiero Borgia ed Elena Cotugno.

Su altri dettagli del Bando Oltre la strada per il rilancio del Comparto di Via Milano, promosso dal Comune di Brescia, vi rimando al precedente articolo di Bonera.2 su “Goodmorning Brescia

(https://cardona.patriziopacioni.com/goodmorning-brescia-179_tre-miti-via-milano/)

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