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In questi giorni è in scena al Teatro Sociale di Brescia il dramma «Uno, Nessuno, centomila» tratto dall’omonima e celeberrima opera di Luigi Pirandello.
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Il testo:
«Uno, Nessuno, centomila» è uno dei più amati e apprezzati romanzi (edizione originale 1926) scritti dall’autore siciliano Luigi Pirandello, in cui si racconta la vicenda di Vitangelo Mosca, ricco, indolente e inconcludente erede di un banchiere. Tutto prende avvio da una osservazione che gli fa la moglie Dida, vale a dire la presenza di un difetto fisico di poco conto: il suo naso infatti penderebbe leggermente verso destra, senza che lui, nel corso degli anni, se ne sia mai reso conto. Un appunto banale che, però, si trasformerà per Vitangelo in un’autentica fissazione ai limiti dell’ossessione, spingendolo a compiere gesti che prima di allora non aveva mai neanche ipotizzato di fare e causando un radicale cambiamento (in negativo) della stima e della considerazione che la gente nutre nei suoi confronti. All’improvviso la sua vita cambia drasticamente, con immediate ripercussioni anche sul rapporto intrattenuto con la moglie e le relazioni (sia familiari che sociali) nel loro complesso. Vitangelo, da un momento all’altro, si trova sull’orlo del precipizio della follia. L’opera di Pirandello rappresenta in maniera molto efficace la crisi d’identità propria dell’uomo del Novecento, a un passo dalla perdita della propria identità e dell’alienazione.
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L’Autore:
Luigi Pirandello nasce nel 1867 a Girgenti da una famiglia agiata. Studia al liceo classico di Palermo, poi si iscrive alla facoltà di Lettere. Di qui passa nel 1887 all’Università di Roma, poi a quella di Bonn dove consegue la laurea. Al suo ritorno, volendo dedicarsi a tempo pieno alla letteratura, si stabilisce a Roma dove comincia a collaborare con poesie e scritti critici a riviste come “La Nuova Antologia” e “Il Marzocco“.
Nel 1894 sposa Antonietta Portulano, dalla quale avrà tre figli. Nel ’97 gli viene conferita, presso l’Istituto Superiore di Magistero, la cattedra di stilistica e poi di letteratura italiana, che terrà fino al 1925. Segue, a partire dal 1903, un periodo difficile per lo scrittore, a causa della rovina dell’azienda paterna e con essa del patrimonio suo e della moglie. Intanto pubblica poesie, saggi, romanzi e novelle, ma la fama gli arriva come autore drammatico. A partire dal 1922 Luigi Pirandello organizza una raccolta completa delle sue novelle sotto il titolo «Novelle per un anno», che allude al progetto, rimasto incompiuto (con un totale di 218 novelle), di scrivere una novella per ogni giorno dell’anno. Nel ’25 Luigi Pirandello lascia l’insegnamento per dirigere il Teatro d’arte di Roma e fondare una sua compagnia. Nel ’34 gli fu conferito il Nobel per la letteratura. Si spegne a Roma nel 1936.
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Lo spettacolo:
L’impostazione della drammaturgia è quella di un flash back ante litteram che, partendo dallo sviluppo finale della vicenda, vale a dire quella pistola che (secondo i dettami di Checov, cui Pirandello non manca di aderire in questa occasione) una volta inserita nella narrazione DEVE sparare.
«Tutto avvenne qualche tempo fa in camera da letto» esordisce Vitangelo Mosca e, da quel momento in poi, un immenso Pippo Pattavina s’impadronisce del palcoscenico e dell’attenzione degli spettatori, esprimendo con straordinaria efficacia e suggestione lo sconcerto e il dolore che masticano da dentro l’anima e la mente di Vitangelo Mosca, personaggio pirandelliano per eccellenza sospeso tra razionale comprensione degli ambigui meccanismi che regolano i rapporti interpersonali e una follia ora lucida, ora stralunata. Attraverso i suoi soliloqui, la sua vivace fisicità, la sua sapiente occupazione degli spazi, la ricchezza di sfumature che caratterizza una recitazione magistrale, Pattavina conduce per mano il pubblico a seguirlo sul Calvario del protagonista principale che abbraccia, più che accettare, lo sconvolgimento di un processo psicologico squassante che porterà a innescare una miscela esplosiva di distruzione e autodistruzione.
Perché, anche se la cosa può sembrare paradossale, più ci s’impegna a scavare in se stesso e negli altri, sempre che si riesca a ricavarne qualche risultato, più ci si espone a pericoli e danni.
Insomma, tra i grandi attori che calcano le scene dei teatri italiani (e lui rientra senza ombra di dubbio nel novero) Pippo Pattavina è forse il più pirandelliano di tutti, riuscendo a conferire ulteriore energia al visionario e profetico messaggio del premio Nobel siciliano fondato sull’analisi della malattia mentale intesa come fonte di dolorosa e inguaribile sofferenza per chi ne è affetto ma anche, paradossalmente, della più genuina ed efficace chiave d’interpretazione delle cose del mondo.
Ottima la regia di Antonello Capodici, attenta e rispettosa del testo, ma mai pedissequamente. Bene anche le scenografie mobili, fantasiose e razionali al tempo stesso. Molto positiva la prestazione attoriale degli altri interpreti, Rosario Minardi, Gianpaolo Romania e Mario Opinato, chiamati a impersonare un nutrito e variato numero di personaggi. Una nota particolare mi sento di spendere per la bravissima Marianella Bargilli, anch’essa chiamata a calarsi nei panni della moglie di Vitangelo e in quelli della stravagante Anna Rosa.
Il giudizio del pubblico è facilmente deducibile dalla intensità e dalla durata dell’applauso finale.
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«Uno, Nessuno, centomila» di Luigi Pirandello, con Pippo Pattavina e Marianella Bargilli, sul palco insieme a Rosario Minardi, Gianpaolo Romania e Mario Opinato, per la regia di Antonello Capodici – ABC Productions
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