Streghe: mostri… oppure dottoresse?

Più o meno, la storia è sempre la stessa: ciò che non si conosce, al tempo stesso attira e respinge, da una parte incuriosisce, dall’altra… fa paura.

E la paura, com’è noto, molto spesso si rivela un pessimo consigliere.

Così, negli anni più oscuri di un’epoca oscura quanto fu il Medioevo, in un mondo tormentato da miseria, carestie, epidemie e guerre, dunque da ogni tipo di flagelli naturali e di origine umana, primo tra tutti quello, terribile, dell’ignoranza e della superstizione, la scelta più facile era lì, a portata di mano. In un sanguinoso delirio collettivo, gran parte dei mali fu caricata sulle streghe, creature eccentriche, solite vivere ai margini di città e villaggi e della cosiddetta “società civile”.

Del resto il nome stesso di strega, derivato con ogni probabilità da stryx, un uccello notturno cui veniva attribuita l’inquietante attitudine di nutrirsi succhiando il sangue dei bambini nella culla, come un vampiro, la dice lunga su ciò che le credenze popolari finirono con l’attribuire ben presto a questa figura femminile. 
In realtà, molte di queste donne a loro modo anti-sistema, coltivavano interesse per la natura, per le erbe ed altri rimedi, sostituendosi in moltissime occasioni, nella cura di uomini e animali, ai più costosi “dottori”: a esse ci si rivolgeva per curare febbri e altri malanni, per praticare aborti e per avere consigli sulla contraccezione.

Certo, per arrotondare le entrate, di tanto in tanto ci stava pure la preparazione di qualche filtro d’amore o la messa in scena di qualche oscura “fattura”, a base di sangue di pipistrello e code di lucertola… ma questa è tutt’altra storia. 

   LO SPETTACOLO

Al Santa Chiara Mina Mezzadri in  prima nazionale, fa parte del progetto pluriennale IdentitàBs, mirato alla riscoperta e alla valorizzazione del territorio attraverso il ricorso a talentuosi teatranti nati e/o formati in loco. 

L’ambito è bresciano. Per meglio dire, la vicenda (raccontata in qualità di autore e di regista da Marco Ghelardi) si svolge in Valle Camonica, sito -ahimé- tra i più attivi d’Italia nell’individuazione, escussione e combustione delle streghe, a cavallo del 1520.

Due donne le protagoniste: Angela e Biscia, lontanissime tra loro per censo, formazione culturale ed estrazione sociale, che s’incontrano per motivi “clinici”: la prima, cittadina senza problemi economici ma affetta da una malattia anomala quanto insidiosa, refrattaria ai rimedi proposti dalla medicina tradizionale del tempo, viene infatti affidata (spes ultima dea) alle cure della seconda che, per approfittare della situazione, s’improvvisa guaritrice.

Entrambe le donne, però e ahimé, sono però “troppo avanti” per i tempi, cosicché, inevitabilmente, il loro consorzio è destinato a interrompersi ben presto. Una, la più ricca, riuscirà comunque a trovare una via d’uscita, l’altra, invece…

Venendo allo spettacolo, anticipo subito che si è rivelato un ottimo biglietto da visita per la presentazione di questa nuova stagione targata C.T.B.

Se è vero che «chi canta prega due volte», come diceva Sant’Agostino, assistendo a Curamistrega si può tranquillamente affermare che  «chi canta recita moltissime volte».

Prima di tutto perché le voci ben intonate e ben accordate tra loro di Monica Ceccardi (Biscia) e Silvia Quarantini (Angela) introducono cantando la narrazione e ne sottolineano con grazia (con ampi meriti da riconoscere alle suggestive melodie e agli effetti sonori creati da Mimosa Campironi) i passi più significativi. In secondo luogo perché, con grande versatilità e con sorprendenti credibilità ed efficacia, le due attrici impersonano, oltre ai due principali, un gran numero di personaggi complementari.

Eccellente il gioco di squadra, il loro, con la partenza spumeggiante di Monica Ceccardi (deliziosa nei movimenti di Biscia, degni dei sornioni ammiccamenti del Jack Sparrow di Johnny Depp) e l’interpretazione di Silvia Quarantini che parte piano per consolidarsi ed esprimersi al meglio (come il motore di un diesel di lusso) con la prosecuzione dello spettacolo.

Pulita, ordinata e fantasiosa la regia di Marco Gherardi (anche autore del testo) ed essenziali, ma di perfetta resa scenica, le scene e i costumi di Domenico Franchi. Eccellente, come sempre, la gestione delle luci opera dell’esperto di casa Cesare Agoni, insieme a Sergio Martinelli.

Eccellente la soluzione scelta per il finale, anche se il messaggio di speranza che si vorrebbe far passare con l’ultima canzone fatica a dirottare il senso di una storia che, nella generalità degli spettatori, mi è sembrato lasciare invece un rintocco cupo e poco incline alla speranza.

«Per me no» si canta in una canzone, allegra e spensierata solo in superficie.

«Il mio maestro è il mondo» è il ritornello dell’altra.

Ma, con il mondo che ci circonda in questo difficile momento della storia che, probabilmente, nonostante il progresso delle scienze, si sta rivelando non meno violento di quello del ‘500, nelle faville del rogo finale si fatica a intravvedere riflessi di speranza.

Perché se le cose non cambieranno, e devono cambiare al più presto, di questo mondo resterà solo grigia e sottile cenere.

Così, almeno, è arrivato a me.

La realtà, ciò che conta davvero, però, è che, quando cala il sipario, meritatissimi, prolungati e convinti, scrosciano gli applausi di tutti gli spettatori del Santa Chiara Mina Mezzadri.

E la magia stregata del Teatro si perpetua.

 

TESTO E REGIA DI MARCO GHELARDI
MUSICHE ORIGINALI ED EFFETTI SONORI MIMOSA CAMPIRONI
SCENE E COSTUMI DOMENICO FRANCHI
LUCI CESARE AGONI E SERGIO MARTINELLI
CON MONICA CECCARDI E SILVIA QUARANTINI
PRODUZIONE CTB CENTRO TEATRALE BRESCIANO

 

 Brescia – Teatro  Santa Chiara Mina Mezzadri dal 22 al 24 settembre 2017 

.

 

   GuittoMatto