Quando bellezza, armonia e parole colte non bastano.

Hiroshima mon amour è una sceneggiatura originale diella scrittrice francese Marguerite Duras, considerata uno dei massimi esponenti del Nouveau Roman, una corrente letteraria nata in Francia tra gli anni 50 e 60. Il film, diretto dal regista Alain Resnais per l’interpretazione di Emmanuèle Riva e Bernard Fresson fu presentato al Festival di Cannes del 1959 e fruttò alla Duras la nomination agli Oscar per la migliore sceneggiatura. Per quanto riguarda la trasposizione teatrale di cui ci stiamo occupando (ventunesima produzione C.T.B. nel calendario della stagione che sta terminando) la sceneggiatura è firmata dall’home dramaturg Fabrizio Sinisi, la regia è affidata a Paolo Bignamini per l’interpretazione di Valentina Bartolo e Francesco Sferrazza Papa.

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La trama:

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La storia (se tale si può definire, svincolata com’è dai tradizionali canoni di narrazione) è ambientata nella città di Hiroshima nell’agosto 1957, vale a dire dodici anni dopo il devastante bombardamento nucleare che segnò di fatto e nel più tragico dei modi, la fine della seconda guerra mondiale.

I protagonisti sono un’attrice francese, arrivata in Giappone per girare un film d’ispirazione pacifista, e un architetto giapponese, che s’incontrano (non è spiegato in quale occasione e in quali circostanze) proprio alla vigilia del rientro in patria di lei. Tra i due divampa una reciproca e irrefrenabile passione che che li induce a a vivere una breve ma intensa storia d’amore.

Il leitmotiv della pièce è la stridente e spiazzante inconciliabilità tra uno slancio vitale di grande intensità emotiva e fisica e il luogo che li ospita, che reca in sé le stimmate del dolore e della morte.

Come già accennato, non c’è una vera trama da raccontare: è nei dialoghi tra i due che si sviluppa l’intreccio. Un groviglio di reciproche domande e di ricordi che svelano, in entrambi, la dolorosa presenza di gravi traumi pregressi lungi dall’essere superati: per la donna un grande amore spezzato dall’uccisione del suo amato, un soldato tedesco, accompagnato da una punizione e un’umiliazione altrettanto crudeli; per l’uomo, la morte dei genitori durante il bombardamento

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Lo spettacolo:

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ph. Federico Buscarino

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Gli ingredienti sono di prima qualità: dalla direzione al tempo stesso attenta e fantasiosa del regista Paolo Bignamini, passando per una scenografia essenziale ma di grandissima suggestione ((geniale il filo di fumo che nei primi momenti e negli ultimi ricorda agli spettatori come il tutto si svolga in un non luogo nel quale viaggiano due anime tormentate e i mali del mondo, fino all’impeccabile prestazione attoriale dei due interpreti in palcoscenico. Riguardo a questi ultimi, senza nulla togliere niente all’impeccabile recitazione di Francesco Sferrazza Papa, segnalo in particolare quella di Valentina Bartolo: chiamata a indossare le vesti dell’autentica protagonista della pièce, non lesina le energie, alternando slanci e momenti di introspezione ed esibendosi, nel finale, anche in un più che apprezzabile passaggio canoro.

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ph. Federico Buscarino

Come talvolta (e purtroppo) accade, però, il prodotto proposto al pubblico nell’insieme non convince pienamente. La domanda alla quale mi è più difficile rispondere è quali siano le motivazioni che hanno portato al varo di una operazione di questo genere. Il testo, pur di grandissima qualità, appare infatti irrimediabilmente datato, appartenendo a un’epoca lontana espressivamente e culturalmente più degli oltre sessant’anni che separano la prima realizzazione della pellicola. Il ritmo lento, la scelta di una narrazione claustrofobica, raccontata più che agita, poteva risultare innovativa ai tempi del già citato Nouveau Roman, ma a mio parere non si concilia perfettamente con un’era, come quella che stiamo vivendo, in cui la velocità e l’essenzialità della comunicazione è divenuto elemento fondamentale. Perfino la sacrosanta denuncia degli orrori causati dalla guerra, attraverso l’evocazione dell’olocausto nucleare e la sofferta rievocazione delle vicende che portano all’uccisione di un romantico soldato tedesco (e del giovanile ed entusiasta primo amore della protagonista), risulta diluita in una colta, formalmente ineccepibile ma sostanzialmente sterile analisi psicologica di accenti sentimentali. Tematiche ben collocate nelle pagine di grandi autori come Moravia ma a oggi superate dall’insorgere di più urgenti problematiche personali e collettive.

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Per chiudere, la segnalazione di un grande appuntamento: lunedì 12 giugno p.v al Teatro Sociale per la presentazione della prossima stagione teatrale firmata Centro Teatrale Bresciano.

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Anzxi, più una raccomandazione che una segnalazione: Uno di quegli eventi che è assolutamente sconsigliabile mancare, se possibile.

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