Goodmorning Brescia (241) – La strada di Biagio si fa spettacolo.

Tutto comincia da una coincidenza che forse (anzi probabilmente) non è tale. A oltre quarant’anni di distanza capita di sedersi sulla stessa panchina sulla quale ci si era accomodati una prima volta, nella dura Torino degli anni settanta, agitata e squassata dagli squilibri sociali, dalle veementi lotte sindacali, dagli spari dei terroristi. Naturale che, in una situazione del genere, trovi spazio una profonda riflessione interiore su cosa, da allora, sia cambiato realmente, sia nel mondo che c’è fuori che… dentro di sé. L’interrogarsi (peraltro privo di risposte certe) se ci sia una concreta possibilità di rimediare in qualche modo ai tanti (troppi!) errori che sono stati commessi da una generazione stordita da un repentino cambio di costumi, da un’apparentemente irreversibile crisi dei valori in sui si credeva prima. Permettere il flusso dei ricordi più intimi, come quello dei propri genitori in bianco e nero, di una compagna di classe troppo magra, un amico di giochi e, nei pressi della scuola, un triste cartello lasciato in triste eredità dalla guerra: «Attenzione alle mine anti-uomo!». E i sogni, quelli belli e quelli brutti, le lacrime, l’incongruente voglia di farla finita alla fine di ogni nuovo piccolo amore giunto al capolinea.

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Parte da qui, il viaggio in autostrada, reso più complesso da quelle “code in tangenziale”, è qui che emerge la malinconia per un appartamento svuotato dagli amici e dai parenti di una zia che ha salutato la vita da persona sola, com’è sempre stata, lasciando una scatola di cioccolatini con una dedica scrittale da chissà chi, che adesso non vale niente, ma allora… la triste emozione per un cane travolto e straziato dalle auto sull’asfalto sudicio di una strada, la voglia di ballare fino all’ultima nota, all’ultima giravolta di quello strano tango che si chiama vita.

Parole, quelle di《Code a tratti sulle tangenziali》 (questo appunto il titolo dell’evento) dettate dalla sensibilità estrema e squisita del fine narratore e fine dicitore Biagio Vinella, accompagnate (tra gli altri brani) dalla controversa musica di Lou Reed (Berlin), da quella disperata del jazzista Paolo Fresu (Mare Nostrum)  e dalla languida introspezione di Astor Piazzolla, (Libertango e Oblivion) che scorrono veloci ma lasciano traccia nell’anima dei tanti spettatori che, come sempre, nella sanguigna luce rossa della sala, gremiscono la piccola platea dello Spazio Illich.

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