Adesso finalmente possiamo (scriverlo) dirlo a voce alta e senza timore di smentite: Paola Barbato appartiene a quella categoria di scrittori che si affezionano ai propri personaggi e, di conseguenza, inducono i propri lettori a fare abbastanza. Lo ha fatto, in un certo senso, con l’esperimento narrativo della trilogia «Io so chi sei», «Vengo a prenderti» e «Zoo»; ora ripete l’operazione facendo seguire a «Scripta manent» il romanzo del quale ci si occupa in questo articolo, ovvero il claustrofobico «L’ultimo ospite».
Sono il notaio Flavio Aragona (troppo bello, troppo ligio al dovere, troppo cortese e compito, per essere davvero e fino in fondo così) e la sua assistente (divenuta tale solo dopo il primo romanzo) la complessata e nevrotica Letizia Migliavacca/Medina, donna di cui, dall’interno, perennemente si contendono il controllo due personalità diverse e conflittuali.
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La trama:
C’è qualcosa di strano, nella villa Olimpia d’Arsa, appartenuta a una ricca, scorbutica e misantropa novantene morta senza lasciare né eredi diretti né testamento. Qualcosa di sbagliato. Qualcosa di pericoloso. Ed è proprio qui che si devono chiudere il notaio Aragona e la sua assistente Letizia, (accompagnata dalla vecchia, malandata e inseparabile cagnolona Zora) incaricati di redigere un circostanziato inventario di quanto custodito (e accuratamente celato) all’interno del fabbricato e delle sue dependances. Fuori, attendono con imoazienza i lontani, avidi e litigiosi parenti lontani della facoltosa defunta, ansiosi di spartirsi un bottino che promette di essere pingue.
Un lavoro complesso, lungo impegnativo, ma sostanzialmente di routine, se non fosse che, fin dai primi momenti, da ogni andito della vetusta villa comincia a spirare un alito di mistero e di cattivi ricordi. Tra le banconote e i gioielli occultati negli armadi, nei cassetti, nelle boiserie e nelle nicchie, riposti nelle fodere dei vestiti e nei luoghi più impensati e impensabili, non hanno alcun valore venale, ma (forse) testimoniano di segreti orribili e inconfessabili.
C’è qualcuno, (un uomo misterioso? una donna? all’interno della villa? all’esterno? uno dei parenti? un estraneo?) però, cui quella accurata ricerca e catalogazione proprio non piace…
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La mia lettura:
«L’ultimo ospite» è una di quelle narrazioni capaci di creare disagio (un piacevole disagio), insinuando lentamente ma inesorabilmentelettore le ansie dei protagonisti nella fantasia del lettore. I personaggi sono pochi, ma ben scolpiti, l’ambientazione è praticamente unica, l’interno della villa, secondo la tradizione dei gialli dei bei tempi andati. L’attenzione e la tensione crescono pagina dopo pagina, fino allo svelamento finale, così come conviene a un buon thriller.
E che Paola Barbato un buon thriller non incontri mai alcuna difficoltà a strutturarlo e a scriverlo, mi pare che sia cosa nota ormai a tutti.
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Paola Barbato nasce a Milano nel 1971. Inseritasi de facto e de jure tra i principali e più amati sceneggiatori di Dylan Dog, a partire dal 2006 intraprende una intensa e feconda attività di scrittrice. Il primo romanzo a essere pubblicato è Bilico (Rizzoli). Nel 2008 segue, sempre per le stampe di Rizzoli, Mani nude, vincitore del prestigioso Premio Scerbanenco. Nel 2010 arriva Il filo rosso (ancora Rizzoli), seguito dalla trilogia Non ti faccio niente (Piemme 2017), Io so chi sei (Piemme 2018), e Zoo (Piemme 2018). Nel 2019 tocca a Il ritornante, nel 2021 a L’ ultimo ospite (entrambi editi da Piemme). Nel 2021 il già citato Scripta manent (Pickwick) e, nello stesso anno, pubblica Vista da qui diario intimo e famigliare ad alto tasso di autoironia. Per la TV scrive la fiction Nel nome del male, trasmessa da Sky nel 2009.
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Il Lettore