Brescia Città del Teatro (22) – Paola Michelotti: teatro e danza, anima e corpo

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Si chiama Paola Michelotti e, nel prossimo aprile, i bresciani appassionati di Teatro ne potranno ammirare le qualità di interprete in occasione della replica del dramma «Christine e Léa – Le serve» (una coproduzione Teatranti/ Ombre di Platone) , una delle opere più sofferte e sentite uscite dalla penna di Patrizio Pacioni. Interpreterà sulla scena la parte di Mme Léonie Lancelin, precedentemente subentrando a Erika Fappani.

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Da una parte la medicina, disciplina sovrana dell’immanente, del tecnico e del razionale; dall’altro l’irresistibile richiamo esercitato su di te dal palcoscenico, luogo eletto della creatività e della fantasia. Come si miscelano in te queste due anime apparentemente inconciliabili?

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A questa osservazione potrei rispondere che, mentre la professione medica, che ho esercitato a lungo e con grande dedizione, ha come obbiettivo quello di curare il corpo, il teatro è uno dei metodi più efficaci (ed piacevoli) di curare l’anima? Una similitudine che acquisisce ancora più spessore e contenuto considerando che, in occasione di una rappresentazione teatrale, a un attore viene data una grande opportunità: quella di riconoscere qualcosa di sé (e spesso assai più di qualcosa) nei personaggi che viene chiamato a impersonare in scena. In tal modo, vivendo le loro vicende con la massima empatia e con spirito autocritico, ha l’opportunità di una profondissima introspezione della propria personalità e della propria anima, ricavandone la più efficace delle “terapie psicologiche“, utile a risolvere, o almeno a lenire fortemente, intimi problemi emotivi di cui poteva anche non essere pienamente cosciente.

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Il tuo mi sembra un punto di vista insolito quanto originale e stimolante. Sarebbe forse bene che tu spenda ancora qualche parola per chiarirne e approfondirne il senso.

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Vedi, da appassionata di lettura, da autentica divoratrice di libri quale sono fin da giovanissima, ho sempre apprezzato la possibilità, attraverso la lettura, di poter “entrare “ nelle vicende narrate, nelle epoche e nei luoghi , nelle emozioni, negli amori, nelle speranze, nelle gioie e nei dolori suscitati nei personaggi dalle vicende narrate dall’autore. Il Teatro, a mio avviso, per la sua stessa natura, favorisce il fenomeno dell’immedesimazione ancora di più, permettendo sia all’attore che allo spettatore, nell’ambito di un’esperienza che, sia pure riferita allo stesso testo, varia ogni volta che si va in scena, di vivere direttamente sulla propria pelle tutte le emozioni che ti ho elencato poc’anzi.

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Senza uscire dall’ambito teatrale, so per certo che, accanto alla prosa, tu ami molto anche quel particolare, armonico e affascinante modo di comunicare con il pubblico ed esprimersi che risponde al nome di “danza”.

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La danza e, di conseguenza, la musica, costituiscono per me una sorta di esperienza liberatoria, paragonabile a un momento “meditativo”, durante il quale riesco a estraniarmi completamente da ogni contesto, a percepire e ad ascoltare con straordinaria nitidezza le vibrazioni più profonde del mio essere. Non a caso lo “stato di grazia“ del ballo flamenco è il momento in cui il ballerino raggiunge il duende, vale a dire una completa immedesimazione nel ballo unita a una completa estraniazione dalla realtà, nel corso del quale il corpo viene percepito come uno strumento musicale in piena fusione con il “tutto”.

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Tornando alle origini, quali furono esattamente Il momento e l’occasione che fecero scattare la scintilla del tuo innamoramento per le scene?

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Il fatale (e fatidico) incontro con il Teatro lo devo al felic e contatto con il Teatro napoletano. Possiedo in parte origini partenopee e sono cresciuta con le commedie di Eduardo, allora trasmesse in TV nei mai troppo rimpianti “Venerdi di prosa”, e con la voce di Caruso che fluiva continuamente dal grammofono di mio padre. Sì, decisamente il Teatro e la musica napoletana (che annovera, tra tanti altri, grandi compositori come Cimarosa e Scarlatti) sono da considerare un autentico patrimonio dell’umanità.

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Ok, la grande tradizione partenopea. E poi? Che altro?

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Le fondamenta della mia vocazione di attrice affondano certamente nel sempre fertile terreno del Teatro Classico. Sono grata a mio padre, grande umanista, che, fin da adolescente, ogni estate, oltre ad avvicinarmi alla prosa e alla lirica in casa, pressoché quotidianamente, mi conduceva con una certa regolarità a condividere con lui gli spettacoli delle stagioni dell’Arena di Verona. Sotto le stelle di quelle indimenticabili serate ho potuto veder recitare Gianrico Tedeschi, Tino Buazzelli, Glauco Mauri, Vittorio Gassman, Giorgio Albertazzi, Lilla Brignone, Valeria Moricone e tanti altri nomi che hanno fatto la storia del Teatro italiano.

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Senza dimenticarsi di Brescia, però.

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Brescia, già. E come potrei scordarmene? Nella mia città ho vissuto con entusiasmo la stagione storica sviluppatasi intorno alla “Loggetta”, con i suoi grandi esponenti dell’epoca; ora seguo le stagioni del CTB , apprezzando il dinamismo di personaggi come Marco Sgrosso ed Elena Bucci, nell’ambito di una sempre ricca stagione teatrale che è per me un appuntamento costante con il Teatro Sociale.

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Veniamo dunque all’attualità: so che c’è stato un particolare incrocio di vite che si è rivelato (e tutt’ora si sta rivelando) un importante catalizzatore della tua passione per il palcoscenico.

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Se è a Katiuscia Armanni, che ti riferisci, il nostro incontro risale a una decina di anni fa, quando al Castello di Brescia si svolsero alcune rappresentazioni ispirate a Shakespeare, cui partecipammo entrambe come attrici, nell’ambito dell’evento “Shakespeare in Città”. L’occasione di lavorare insieme, dandomi modo di apprezzare da vicino le doti di Katiuscia come regista, è arrivata però soltanto nel 2021: fin da subito è scaturito un particolare feeling che, con il passare del tempo, si è trasformato in un autentico legame di amicizia oltre che di profonda stima.

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E, proprio attraverso Katiuscia Armanni, ti sei ritrovata a muoverti nel e con il cast di 《Christine e Léa – Le serve》 che a breve (esattamente venerdì 22 aprile al Piccolo Teatro Libero di Brescia – ndr) tornerà a coinvolgere e ad appassionare gli spettatori della Leonessa.

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La proposta di subentrare per il ruolo di M.me Leonie nel Dramma di Patrizio Pacioni, mi è giunto quanto mai gradito e non ho avuto alcun dubbio ad accoglierlo con grande entusiasmo. La forza del dramma, così sapientemente scritto e articolato, insieme alle caratteristiche del personaggio proposto, mi hanno immediatamente conquistato. Mme Léonie, personaggio tragico dal tragico destino, dal carattere rigido e impositivo, nei suoi atteggiamenti anaffettivi fino al cinismo e alla crudeltà, nasconde nelle pieghe della propria personalità una profonda solitudine che la rende incapace di quella pietà e di quella catarsi che solo potrebbero salvare lei stessa e la figlia dalla crudele Nemesi propria della più classica tradizione del Teatro Greco.

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Per concludere questo nostro colloquio, ti chiedo di esprimere in poche (ma per quanto possibile significative) parole qual è il più intimo collegamento che ti lega all’attività di attrice.

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Percepire l’energia dell’attenzione e dell’emozione del pubblico nel corso della rappresentazione, con la determinazione di riuscire ad abbattere la “quarta parete”, costituisce un traguardo che mi coinvolge ed esalta ogni volta che calco il palcoscenico, rivelandosi per me un’esperienza unica che ormai considero irrinunciabile. Potrei aggiungere che spesso, addirittura, avverto la “finzione scenica” talmente concreta e tangibile che, al chiudersi del sipario, mi sembra quasi che non sia lo spettacolo ad avere il suo epilogo, ma la vita stessa. Che sia la vita vera a fermarsi e a ritrarsi in disparte… fino alla prossima recita.

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2 commenti su “Brescia Città del Teatro (22) – Paola Michelotti: teatro e danza, anima e corpo

  1. L’infinito desiderio di vita che e’ in noi trova nel teatro e nelle forme artistiche una grande possibilità di esprimersi, sin quasi a considerare riduttiva l’esperienza di vita quotidiana .Ma e’ messa ben in evidenza anche l’importanza dell’ educazione ricevuta fin dall’infanzia per raggiungere i traguardi più impegnativi che poi possono trasmettere cultura e non banalità .Grazie per le belle considerazioni espresse.

  2. Molto colto e coinvolgente
    Ti spinge a guardare dentro di te e a meditare sui veri valori del tuo essere e della vita

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