Voglio fare una confessione.
Dopo tanti anni trascorsi (con smodato piacere) a respirare polvere di palcoscenico, è ormai estremamente difficile che si crei in me un’aspettativa pari a quella che ha accompagnato l’avvicinarsi dell’esordio di «Le relazioni pericolose» ennesimo riadattamento del romanzo epistolare (titolo originale «Les liaisons dangereuses») scritto da Pierre Ambroise François Choderlos del Laclos e pubblicato nel 1782.
Nel 1782, sì: appena sette anni prima che il deflagrare della Rivoluzione Francesce cominciasse a distruggere, con straordinaria violenza e rapidità inusitata per i mutamenti epocali, le basi di una vecchia era, per costruirne una del tutto nuova e diversa.
Per questo e per altro, che scoprirete proseguendo a leggere questo post, la recensione è di quelle “in forma solenne”, comprensiva cioè di notizie che vanno ben oltre il commento dello singolo spettacolo posto sotto osservazione.
Il romanzo
Trama
Narra le avventure di due libertini appartenenti alla nobiltà francese del diciottesimo secolo, ed è considerato uno dei capolavori della letteratura francese. Nell’insensata competizione a carattere seduttivo-sessuale che si instaura tra il giovane e irruento Danceny e il più esperto e amorale visconte di Valmont, una sola persona è capace di dominarne e condizonarne a sua volontà gli istinti: la Marchesa de Merteuil ricca vedova e cinica conoscitrice dell’animo umano e delle debolezze insite nei sentimenti, nonché abile manovratrice dei suoi amanti.
È un affresco post-barocco di una società dissoluta e cinica, ma allo stesso tempo cieca rispetto al minaccioso mutare dei tempi. La cronaca sensuale di una corsa verso l’autodistruzione effettuata nel compiacimento di un Potere che si va dissolvendo e nel nome della ricerca dei più sfrenati piaceri assurta a valore pseudo morale.
Il film
Regia : Stephen Frears
Interpreti e personaggi:
- Glenn Close: Marchesa Isabelle de Merteuil
- John Malkovich: Visconte Sébastien di Valmont
- Michelle Pfeiffer: Madame Marie de Tourvel
- Uma Thurman: Cécile de Volanges
- Keanu Reeves: Raphael Danceny
- Swoosie Kurtz: Madame de Volanges
- Mildred Natwick: Madame de Rosemonde
- Peter Capaldi: Azolan
È una di quelle pellicole belle, variopinte ed effimere… come farfalle.
Uscì nelle sale cinematografiche nel 1988 (trentatre anni dopo il meno famoso e fortunato film di Roger Vadim del 1955) con la regia di uno come Stephen Frears, che ha firmato film come Rischiose Abitudini, Eroe per caso e The Queen). Grazie a un cast che definire stellare è probabilmente riduttivo, il successo fu clamoroso, al punto che il titolo si trasformò in breve tempo in una frase di uso corrente.
Vinta piuttosto agevolmente anche la competizione con Valmont di Miloš Forman (girato quasi contemporaneamente e uscito nelle sale nel 1989), anch’esso tratto dal medesimo romanzo, alla fine di una stagione di strepitoso successo lo slancio si esaurì, senza neppure essere in qualche modo rilanciato, negli anni immediatamente successivi, da una frequente programmazione televisiva. Fenomeno misterioso, ma non infrequente come potrebbe sembrare, nel mondo del cinema.
Ricordo, infine, che la trama del romanzo di Pierre Ambroise François Choderlos del Laclos è stata nuovamente ripreso nel 1999 con il film Cruel Intentions – Prima regola non innamorarsi, diretto da Roger Kumble con Sarah Michelle Gellar e Ryan Phillippe.
Lo spettacolo
Ci sono attori che sono sempre e comunque una garanzia per gli spettatori che si recano ad assistere ai loro spettacoli. Un po’ come il marchio DOCG impresso su una bottiglia di buon vino, tanto per intenderci. Elena Bucci (fresca vincitrice di importanti riconoscimenti quali il Premio Eleonora Duse e il Premio Ubu) e Marco Sgrosso (cofondatore della Compagnia Le Belle Bandiere) sono certamente da annoverare tra questi, e quelle che il C.T.B. intrattiene con loro (iniziate con Macbeth nel 2005 e proseguite nelle successive stagioni con i fortunati allestimenti Hedda Gabler, L’amante, La Locandiera, Antigone ovvero una strategia del rito, Juana de la Cruz o le insidie della fede, Ella, Mythos, Tartufo, Svenimenti e La canzone di Giasone e Medea) sono davvero… «Relazioni meravigliose».
(qui sopra quattro meravigliose istantanee di scena scattate dal fotografo Marco Caselli Nirmal)
La “prima accoglienza” riservata agli spettatori che gremiscono il Teatro Santa Chiara Mina Mezzadri per l’esordio de «Le relazioni pericolose» è una festa per gli occhi fatta di luci e colori: appena la sala piomba nel buio ecco che, come per incanto, ci si ritrova in un mondo alieno e antico al tempo stesso, intriso delle tinte soffuse e morbide delle ciprie con cui, nel ‘700, si cospargevano abiti e parrucche.
È la gioia profana della corruzione morale, che trasuda dai primi scambi epistolari, diretta emanazione del delirio di onnipotenza di uno “stato” aristocratico che, per realizzarsi pienamente, ha bisogno di andare oltre ciò che consentono ceto, ricchezza e politica. E quando corrompere l’innocenza (della giovanissima Cecile de Volanges) si rivela troppo facile («il complotto è sproporzionato all’impresa» chiosa il visconte di Valmont»), viene il turno della più ghiotta delle prede: la stessa onestà (dell’incorruttibile Madame de Tourvel).
Sono bravi, anzi bravissimi, Elena Bucci – la perfida Marchesa Isabelle de Merteuile e Marco Sgrosso – l’inveterato seduttore Visconte di Valmont (responsabili anche della drammaturgia), felicemente affiancati da un poliedrico Gaetano Colella (tanti personaggi in uno), ma questo si sapeva già.
Particolarmente ispirati, questa sera, grazie anche al perfetto connubio scene/suono/luci/costumi, ma soprattutto…
… soprattutto riescono a colmare con grande agilità e senza alcun contraccolpo su pubblico, quel gap romanzo epistolario-palcoscenico più largo di un’autostrada a otto corsie.
Riescono a rendere alla perfezione quel “vacuum vitae” che non è poi cambiato così tanto, dal ‘700 al terzo millennio.
Rendono, ingenerando un certo malessere in chi assiste allo spettacolo, quella tristezza di un iter operativo del Male ben delineato e determinato, praticamente un protocollo, seguendo fedelmente (pur se ottusamente) il quale, prima o poi, si riesce a vincere ogni resistenza del Bene e di ciò che lo simboleggia e rappresenta.
A descrivere la farsa-tragedia di quell’arroganza becera quanto miope di una classe dirigente talmente impegnata a soddisfare le proprie brame, a ubriacarsi di ostentazione e sopraffazione del prossimo da non accorgersi che la fine sta arrivando.
Tutto sembra allegro, tutto sembra piacere, ma alla fine si rivela volgare e macabro come una qualsiasi “cena elegante” da seconda repubblica.
Finisce in tragedia, com’è giusto che sia, con i protagonisti che si trovano costretti a fare i conti con la propria nullità, con il vuoto siderale di esistenze spese senza ideali e senza scopo, nella più assoluta e cupa delle solitudini.
E la luce che scende davanti agli attori, inesorabile come la lama della ghigliottina, mentre parte la canzone gloriosa e letale della Marsigliese, è il prezzo di un’epoca che cambia, in modo violento e irreversibile.
Al Teatro Santa Chiara Mina Mezzadri di Brescia dal 19/4 al 14/5/2017
Mi sia consentito concludere dando la parola alla colta quanto disinibita e cinica Marchesa de Merteuil:
«L’amore che vantiamo come la causa dei nostri piaceri, non ne è in realtà che il pretesto »
Una frase stupenda e rivoluzionaria, per essere stata scritta nel 1782, non è vero?
GuittoMatto