È trascorso un anno (esattamente un anno e due giorni) da quando, per la prima volta, mi occupai di una pièce intitolata «Le voci di Anna» (ispirato alla vita e alla morte violenta della giornalista-martire Anna Stepanovna Politkovskaja) scritta e diretta da Valbona Xibri e interpretata da Marina Ivaschenko, che andò in scena al Teatro Sant’Afra. Per chi volesse recuperarlo, prima di leggere questo articolo, ecco come fare:
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Con «Burrnesha» (un testo elaborato da Sara Giacomelli) si rimane a oriente, ma si passa nella più vicina Albania. E non si narra di un a persona particolare, ma di un’usanza arcaica piuttosto singolare e inquietante che, tramandata nei secoli alternativamente, ma anche parallelamente, alle religioni tradizionalmente presenti nel Paese (Cattolicesimo, Ortodossia, Sunnismo e Bektashismo), resta in alcuno angoli del paese valida anche ai nostri giorni. Si tratta del Kanun (o Kanuni) detto anche Canone di Lekë Dukagjini: il più importante tra i numerosi codici di diritto consuetudinario creatisi nelle zone montane dell’Albania nel corso dei secoli, parte integrante del patrimonio culturale nazionale.
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In pratica, tra le varie regole dettate dal Kanun, che regolava essenzialmente le relazioni familiari, l’assoluta uguaglianza tra gli uomini (intesa più come obbligo che come diritto), il Besa e nder (qualcosa di simile al concetto esperesso dai termini romani honor” e decus, vale a dire l’onore dell’individuo) e l’ospitalità, c’era anche quella della Burrnessha, figura diffusa nei paesi balcanici, in particolare appunto in Albania e in Kossovo: in pratica, secondo le regole del Kanun, una donna non ha diritto di vivere da sola e se non intende sposarsi, deve assoggettarsi al suo nuovo stato. Tagliarsi i capelli e vestirsi da uomo, sottoponendosi a una cerimonia in presenza degli uomini più influenti del villaggio. Ciò fatto, assumerà su di sé diritti (compresi quelli di fumare e bere alcoolici) e doveri propriamente maschili, ma sarà costretta anche a fare un irrevocabile voto di castità.
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Ed è appunto di questo fenomeno che si occupa lo spettacolo, puntando più sull’informazione e la denuncia che non su una vera e propria drammatizzazione tradizionale. Insomma, un vero e proprio “documentario in scena”, con tanto di proiezione di foto (Antonio Candela) e suggestivi inserti filmati (Giuseppe Barresi), diretto dalla regista con i tempi giusti e arricchito dal brio della protagonista, capace di giocare sulla sua naturale femminilità e su un’androginia costruita con ironia ma anche con sorprendente efficacia.
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L’evento, introdotto dal saluto della dinamicissima titolare dell’Assessorato alle Politiche giovanili e alle Pari opportunità Roberta Morelli e del parroco don Renato Baldussi (che hanno approfittato dell’occasione per riepilogare ai presenti le tante migliorie che, in fattivo tandem, sono state apportate al Teatro di Cristo Re di via Fabio Filzi) ha riscosso un successo di pubblico sia in termini di affluenza che di gradimento esternato dagli spettatori al termine dello spettacolo.
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C’è poco da dire: la rassegna Insieme contro la violenza sulle donne anche quest’anno sta facendo centro. E non è finita qui.
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