Falstaff l’esagerato ammalia Brescia

Sir John Falstaff è un personaggio creato da William Shakespeare che appare nell’ Enrico IV e nella Allegre comari di Windsor e viene nominato nell’ Enrico V, per la creazione del quale si dice che il grande drammaturgo si sia ispirato a Sir John Oldcastle (realmente vissuto) che fu a capo delle milizie inglesi nel corso della Guerra dei cent’anni.

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Falstaff è anche il titolo dell’ultima opera di Giuseppe Verdi, il cui libretto, scritto da Arrigo Boito, ispirato al già nominato Le allegre comari di Windsor, ma arricchito con alcuni passi tratti anche da Enrico IV parti I e II.

Prima di dedicare qualche minuto a questa recensione, se lo ritenete utile, potete leggere il servizio di Bonera.2 sulla conferenza stampa di presentazione di «Falstaff e il suo servo»dell’evento:

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Goodmorning Brescia (160) – Al Sociale è in arrivo l’uomo dagli smodati appetiti!

 

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È la vita stessa a renderci bulimici, costantemente insoddisfatti, centrati su noi stessi e, soprattutto, ridicoli.

Il grasso, il panciuto, il gigantesco, l’esagerato, il ridondante Falstaff , è la sintesi suprema, il distillato allo stato puro dell’esiziale summa di tutti questi difetti dell’essere umano, che Shakespeare tratteggia e anima da quasi-dio della creazione artistica qual è, con il soffio vitale che egli solo lui conferire ai propri personaggi.

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Un uomo tronfio e supponente, ma al tempo stesso inconsapevolmente e insospettabilmente eroico, a suo modo, capace, nella grandezza delle proprie mancanze riesce persino a suscitare la livida invidia di un servo colto, ma reso ottuso dal livore di chi , qualunque ne sia la natura e la qualità, al proprio interno lascia intravedere una scintilla;  un uomo irridente e al tempo stesso ridicolo fin dall’inizio della pièce, rovesciato al suolo come una tartaruga rovesciata, che non sarà mai capace di raddrizzarsi e alzarsi in piedi senza l’aiuto altrui, che nella pratica del certame amoroso riesce a diventare (e proprio questa è la sua grandezza) ancora più ridicolo.

Un uomo di una miopia intellettuale talmente forte da sfiorare la cecità: «Sei un uomo di troppe parole» gli contesta il servo, che invece la vista delle debolezze altrui ce l’ha fin troppo acuta. «No, sono un uomo che usa la logica», risponde Falstaff, con fede incrollabile in se stesso.

E intanto l’odio del servo verso il padrone ribolle, cresce, perché è difficile che chi, povero di idee ed emozioni, non possiede un’esistenza propria, qualcosa che, alimentando il pensiero e la fantasia, si elevi dal ciclo universale della pura sussistenza fisica.

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«Non basta voler vivere, per vivere davvero» contesta a Falstaff, ma è solo la livida smorfia dell’invidia.

Poi, a guarnire e valorizzare un’esistenza intessuta di autoillusioni e vanità, arriva una provvidenziale (sembra strano, ma mi sembra opportuno definirla così) morte in battaglia. Una cornice talmente preziosa che, limitando un quadro che va a sfocarsi ai bordi estremi, rende un mediocre ritratto un quadro un po’ più bello e gradevole da vedere.

Anche la morte sul campo, però, merita un ultimo, clamoroso e irriverente sberleffo: perché, come disse e scrisse Oscar Wilde, “La vita è troppo importante per essere presa sul serio“.

L’ardita opera di “taglio, assemblaggio e cucitura” dei vari brani shakespeariani (senza distogliere mai lo sguardo dal Falstaff verdiano) portata a compimento da Nicola Fano e Antonio Calenda si rivela azzeccata e vincente. La messa in scena di «Falstaff e il suo servo» per opera dello stesso Antonio Calenda ha lo stesso risultato di un prodotto di alta sartoria: un abito su misura in cui non si riesce a ravvisare neanche una piega fuori posto.

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La recitazione di Franco Branciaroli, oltreché impeccabile come sempre, nell’occasione ispirata e in qualche modo amplificata dall’evidente empatia tra attore e personaggio, è validamente sostenuta da quella di grande valore del servo Massimo De Francovich e dall’efficace accompagnamento di Valentina Violo, Valentina D’Andrea , Alessio Esposito e Matteo Baronchelli. Di grande suggestione le scene e i costumi di Laura Giannisi, le musiche di Germano Mazzocchetti e le luci di Cesare Agoni.

Appuntamento da non mancare: al Teatro Sociale di Brescia fino al 3 novembre.

(foto dello spettacolo inserite a corredo di questo articolo: ph Tommaso Le Pera)

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