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Un forno che non si scalda, un regalo non gradito, la foto di Marx appeso sopra al water… con premesse del genere è ampiamente prevedibile che il compleanno di Kristin non sarà una ricorrenza come tante, bensì l’ennesima dimostrazione di quanto possa essere grottesca e insidiosa la vita di ogni giorno, per ciascuno di noi.
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Tra una gag in puro stile britannico, tra una gaffe e l’altra, in crescendo, si manifestano gli attriti e si amplificano le incomprensioni tra la festeggiata Kristin (una Elisabetta Pozzi in gran forma), il figlio Peter (Christian La Rosa) con la bigotta fidanzata americana Trudi (Francesca Porrini), Claire (Martina Sammarco) attrice di soap opera e compagna dell’altro figlio Simon (Emiliano Masala) che, invece, per il momento si fa attendere.
Non manca all’appuntamento l’estroverso e disincantato Hugh (Giovanni Franzoni) alternativo amico gay della padrona di casa.
È tutto un susseguirsi e un accavallarsi di duelli di parole acuminate ed eleganti, di motti esilaranti e geniali («Amo Gesù perché mi rende la vita più semplice» confessa con candore solo apparente la devotissima Trudi), che catturano e premiano l’attenzione degli spettatori.
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Tra la fine del primo e secondo atto, poi, entra in scena l’atteso Simon, cupo e scostante (e ne ha ben donde, veniamo subito a sapere), e la pièce cambia bruscamente ritmo e colore, Dall’acido humour britannico, a sorpresa, si passa a una narrazione più introspettiva e “maledetta”, con accenti che richiamano alle memorie certa drammaturgia nordamericana del secolo scorso, tra la protesta sociale e il rivendicazionismo di stampo marxista di Arthur Miller e l’intellettualisno freudiano di Tennesse Williams.
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L’intensità di «Apologia», però, non viene meno fino al rassegnato finale, salutato da lunghi e convintissimi applausi finali.
Meritatissimi, aggiungo io, perché questo è il teatro. Il vero teatro. Uno spazio magico in cui davvero “succede” qualcosa, sia nell’anima dei personaggi che nelle loro azioni e reazioni. Per questa sera i più economici (ma spesso noiosi e autoreferenziali monologhi) hanno lasciato posto a qualcosa di diverso e più stimolante.
Della perfezione interpretativa di Elisabetta Pozzi, che dipinge e indossa l’ironia al limite del cinico e i malinconici rimpianti per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato di Kristin, abbiamo già detto. Bravissimi anche gli altri attori, ben centrati e calibrati sui personaggi cui offrono parla e movimento. Puntuale la regia di Andrea Chiodi, capace di mantenere il ritmo narrativo sostenuto ed equilibrato per tutta la durata dello spettacolo. Come sempre inappuntabili il lavoro-luci di Cesare Agoni. Lascio (volutamente) per ultima l’azzeccata e suggestiva scenografia di Matteo Patrucco: attraverso un pannello mobile (tra l’altro di non dispendiosa realizzazione) si riesce a ottenere un effetto interno-esterno spazio/psicologico di notevole efficacia.
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Alexi Kaye Campbell, classe 1966, britannico di origini greche, è un drammaturgo e sceneggiatore per il cinema. Le sue opere teatrali sono state oggetto di lunghe e fortunate tournée sia in patria che all’estero (America del Nord, Australia, Estremo Oriente). Nel 2009, il suo spettacolo The Pride è stato insignito del Laurence Olivier Award per l’eccezionale successo in un Affiliate Theatre.
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N.B.
Le prime quattro foto inserite a corredo di questo articolo sono opera di Luca Del Pia.
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GuittoMatto