Un Buzzati Dix… e lode!

Dino Buzzati (1906-1972), uno tra i più eclettici scrittori del nostro Novecento, grazie alla modernità della sua vena poetica, satirica e allegorica, resta anche ai nostri giorni uno dei più amati dai lettori. Amante delle vette dolomitiche, che ha scalato praticamente tutte, visse gran parte della propria esistenza a Milano.

A partire dal 1928 collabora con il Corriere della sera per il quale scriveva i suoi famosi elzeviri. Nel 1933 e nel 1935 escono i suoi due primi romanzi: «Barnabo delle Montagne» e «Il segreto del Bosco Vecchio».

L’opera che è stata universalmente riconosciuta come la più rappresentativa, e che costituisce un autentico capolavoro della scrittura itaiana contemporanea («Il deserto dei tartari») viene invece pubblicato nel ’40, allo scoppio della seconda guerra mondiale.

Tra i romanzi dell’età più matura segnaliamo «Il grande ritratto» (1960) e «Un amore» (1963), in cui si sonda e si analizza il misterioso (per ogni uomo) e affascinante mondo femminile. Da ricordare anche la copiosa e interessantissima attività nella narrazione breve, sempre arguta e sorprendente, la produzione lirica affrontata dall’Autore in modo del tutto originale, nonché la realizzazione di quella che è considerata la prima graphic novel italiana, ispirata alla storia di Orfeo ed Euridice e intitolata «Poema a fumetti», primo graphic novel italiano: un’opera molto affascinante ispirata al mito di Orfeo ed Euridice.  Con l’adattamento a dramma musicale del racconto «Il mantello» non manca neanche un’incisiva quanto significativa sua incursione nel campo teatrale. 

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Lo spettacolo:

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Sul palcoscenico una grande libreria in una stanza priva di finestre. Come dire che il mondo che è fuori si può realmente vedere e comprendere anche e soprattutto attraverso la lettura. E poi…

«Ho cominciato a leggere i racconti di Dino Buzzati all’età di dodici anni. Sono diventati parte del mio immaginario. La sua voce assomiglia spesso alla mia. Lo considero l’inventore di racconti perfetti, che non solo ti avvincono – perché vuoi sapere come vanno a finire – ma ti lasciano sempre un segno dentro, ineffabile però familiare»

confida Gioele Dix , parlando delle origini e delle motivazioni dello spettacolo, e questo basta da solo a spiegare il perché del connubio e le motivazioni della perfetta riuscita.

Il filo conduttore è un’immaginaria (e immaginosa) pallottola di carta caduta dalla finestra dello studio del grande scrittore bellunese sempre illuminata nelle ore notturne più propizie alla creatività, con le “brutte copie” di alcuni suoi scritti («Ho sempre ammirato e invidiato quelli che fanno sempre in tempo a mettere in bella copia la prima stesura di un tema», dice il narratore). Da questo pretesto nasce una serie di drammatizzazioni snelle e vivaci di alcuni dei racconti più stimolanti di Buzzati.

Passando con rimarchevole nonchalance da una storia all’altra, si narra, servendosi di un vivace ed empatico trasformismo realizzato con minimali ma significativi cambi d’abito, di copricapo o di parrucca, (con l’accattivante accompagnamento di un alito di musica anni ’60) di situazioni il più delle volte surreali e/o grottesche: un industriale innamorato-perso che però si ravvede in maturità, una giacca stregata che produce soldi inevitabilmente destinati a perpetuare il destino della farina del diavolo, l’inverosibilmente lungo precipitare di una ingenua quanto sprovveduta giovane lungo le pareti di un immenso grattacielo, per arrivare proprio a «La corsa dietro il vento» che raccoglie e distilla lo stile e il messaggio di Buzzati e il rapporto viscerale che lo lega all’essenza della vita e della morte.

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Gioele Dix domina sia lo spazio del palcoscenico che quello occupato dal pubblico in platea da par suo, sornione e lunatico come un gatto, autentico pifferaio magico che, una volta catturata l’attenzione del pubblico non la molla più, conducendo gli spettatori tra risate e riflessioni anche importanti, dove vuole lui.

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Una parola (anzi, più di una) mi sento di spendere per la coprotagonista della pièce, la spigliata, spumeggiante, camaleontica Valentina Cardinali. Attrice autentica, capace di unire le capacità naturali di recitazione che Mamma Natura le ha generosamente fornito a una preparazione tecnica di altissimo livello che, lo confesso, mi ha molto colpito: dalla capacità di caratterizzazione di tipologie di personaggi diversi tra loro alla padronanza della dizione sia in lingua che in vari dialetti, al canto. L’ho vista in azione dal vivo stasera per la prima volta, ma credo proprio che, d’ora in poi, cercherò di seguirla con maggiore attenzione.

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