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Conferenza stampa indetta nella sede sociale di Piazza Loggia per la presentazione dello spettacolo «Fuoriusciti», in programma al Teatro Santa Chiara Mina Mezzadri dal 14 al 19 p.v.
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Fa gli onori di casa e apre gli interventi, come di consueto, il direttore del CTB Gian Mario Bandera, ricordando come si tratti della prima produzione del nuovo anno che nasce, in collaborazione con il Teatro Stabile di Torino, dall’opera di Giovanni Grasso (giornalista storico, drammaturgo e romanziere vincitore del premio Cortina d’Ampezzo con “Il caso Kaufman” ispirato alla corrispondenza tra don Sturzo e Salvemini, nonché collaboratore nei rapporti con la stampa del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
«Si tratta a mio avviso, a oltre settanta anni dall’incontro di due personalità determinanti per lo sviluppo e il consolidamento della democrazia italiana di un’accelerazione del processo di utilizzo dello strumento teatrale nella riflessione politico» afferma il membro del consiglio di amministrazione del Centro Teatrale Bresciano Luigi Mahony. «Un incontro di fondamentale importanza tra laicismo e cattolicesimo , in quanto riferito a un periodo storico importantissimo, autentico punto di svolta, tra una idea di innovazione totale e l’altro, pur di ottica progressista, inserito nell’ambito del mantenimento di fondamentali valori preesistenti».
«Sono nato a Brescia, anche se poi la vita mi ha portato altrove, e ho cominciato la mia carriera teatrale collaborando con Mina Mezzadri; dunque questo arrivo professionale a Brescia (per la prima volta nella mia carriera) mi è particolarmente gradito» premette Piero Maccarinelli (regista e scenografo). «Il testo, come già detto da Bandera, di nasce da un lungo lavoro operato da Giovanni Grasso sul carteggio tra don Sturzo e Salvemini che mi è piaciuto subito moltissimo. I due parlano dell’oggi, vale a dire di temi estremamente attualizzati con un linguaggio, però, fondato (a differenza di oggi) sull’etica. Un incontro-scontro a volte anche piuttosto acceso, per non dire aspro divisi come sono i due, essenzialmente, dai Patti Lateranensi, trattato sul quale proprio non riescono a trovare un punto d’accordo che cementi idee e visioni per altri versi anche molto consonanti. Interessante anche il tema della distinzione introdotta da Salvemini sulla distinzione tra “cattolicesimo democratico” e “integralismo cattolico” (ignorando però, stranamente nel dibattito, un’importantissima “terza chiesa”, vale a dire il Partito Comunista). Agli attori si è richiesta un’adesione etica al testo con Guia Jelo (padrona di casa di Sturzo e, sostanzialmente, sua perpetua) italo-americana facente parte di quella generazione di migranti d’inizio ‘900 tendenzialmente simpatizzante per il regime fascista fino allo scoppio della seconda guerra mondiale»
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L’attore Luigi Diberti (interprete di Gaetano Salvemini nella pièce) si limita a rivendicare la piena adesione con il personaggio di cui riveste i panni, prima con moto istintivo, poi con meditata razionalità.
Più prolisso Antonello Fassari: «Si tratta di due uomini scomodi, anche per i loro stessi amici e compagni di schieramento e di avventura. Don Sturzo (che io interpreto), per esempio, non ipotizzerebbe neanche di allontanarsi dalla visione della organizzazione ecclesiastica, ma è in pratica “costretto” a vestire i panni di personaggio scomodo a essa in qualche modo esterno. Mi piace tra l’altro ricordare come, per quanto riguarda in modo specifico il Teatro, Don Sturzo riprese e sviluppò in senso ampliativo quanto intrapreso nel secolo precedente da Don Bosco, estendendo il “repertorio” rappresentabile nei teatri parrocchiali (che ancora oggi rappresentano la spina dorsale dei locali teatrali nazionali) a temi d’impegno civile, sociale e politico» .
Pieno di passione, come ci si può aspettare da un’attrice solare come lei, l’intervento di Guia Jelo: «I temi trattati nei dialoghi tra Salvemini e don Sturzo toccano il DNA del mio vissuto, delle parole di mio padre e mio zio che hanno sempre creduto nei valori fondanti della politica e ringrazio il regista Diberti e il CTB di avermi dato l’occasione di tornare (in un periodo di grave riflusso ideologico nel nostro Paese) alle mie radici formative e culturali» .
Conclude degnamente l’incontro una frase forte pronunciata da don Sturzo che tutti, regista e attori, eleggono a simbolo e messaggio, quanto mai attuale, del lavoro portato in scena: «Una nazione forte non ha paura delle differenze, anzi, fa delle differenze una forza».
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Bonera.2