«Quando la vita vera è più avventurosa di un romanzo »
oppure
«Quando ci si trova a raccontare agli altri ciò che si ha persino scrupolo a raccontare a se stessi»
Forse potrebbe cominciare così una recensione del libro autobiografico «Lei, Armando» dalla presentazione del quale (in programma domani sabato 9 dicembre alle ore 17, presso il Museo Fotografico di via San Faustino 2) il sempre attento Costanzo Gatta ha preso spunto per un interessante articolo apparso sul numero odierno del Corriere della Sera, sezione cultura dell’inserto bresciano.
Solo un pretesto, appunto, perché partendo dal libro, Gatta ci accompagna a fare una passeggiata nel passato del cuore stesso di Brescia.
Sembra di sentirli rumori e odori delle vie antiche di San Faustino di mezzo secolo fa.
Quando il mondo era sporco, brutto e cattivo come lo è ai giorni di oggi, ma forse un po’ meno.
Quando il male e il vizio erano identificabili al primo sguardo, perché isolati in un ghetto, quindi sotto controllo, mentre ora serpeggiano in modo molto più insidioso in anditi urbani ed extraurbani, in strati sociali e classi culturali a prima vista insospettabili.
I protagonisti del dramma andato in scena al Carmine, alla curt dei puli, a via Pallone, via Capriolo e vicolo Rossovera erano i soli a soffrire di emarginazione e di esclusione dal contesto sociale, perché per loro, per i “diversi”, gli altri non avevano altro che risolini di maliziosa e ironica sufficienza.
Quando erano in pubblico, però. Perché in privato, quando nessuno poteva vederli e riconoscere, da censori si trasformavano in clienti di lucciole di ogni sesso e di ogni genere.
Questa sì che è una vecchia storia che, con più poesia ed efficacia di tutti, cantò Fabrizio De Andrè nell’indimenticabile «La città vecchia»:
«Quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie / quella che di notte stabilisce un prezzo alle tue voglie»
Bonera.2