Faro è un città di ca. 65.000 abitanti, capoluogo della regione portoghese meridionale dell’Algarve. Già insediamento romano, fu fondata dagli Arabi e poi conquistata da Dom Alfonso III nel 1249. Ottenne lo statuto di città, raggiungendo in breve prosperità come centro economico. Nel XV secolo furono prodotti i primi libri a stampa del Portogallo in un’azienda della numerosa comunità ebraica esistente nella città. Passata sotto il dominio degli Spagnoli, nel 1596 fu distrutta dall’armata inglese. Fu ricostruita ma subì altri danni dal grave terremoto che sconvolse il territorio portoghese nel 1755. Fu di nuovo ricostruita e dotata di nuovi eleganti edifici grazie all’impegno del vescovo Dom Francisco Gomes de Alvar intorno al 1800.
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Non è per le sue indiscusse ma forse sottovalutate bellezze naturali e attrazioni turistico-balneari che ci occupiamo di questa amena località portoghese, ma per ricordare la Convenzione che lì fu stipulata nell’ormai lontano 2005 e che fu rtaificata dalla Camera dei Deputati otto anni dopo, il 23 settembre 2013.
Il documento di alto significato etico di grande valore morale, si basa sul principio che il patrimonio culturale di un paese sia in tutto e per tutto un’eredità che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione.
Evidentemente la Regione Lombardia ne ignora l’esistenza o, quanto meno, tiene in ben poco conto il pur autorevole messaggio. Ottusamente fedele al principio che “quando c’è da risparmiare qualche euro, la cosa più facile e immediata è tagliare i fondi alla Cultura“, con la (sciagurata) delibera varata nella seduta dello scorso lunedì 21 novembre su proposta dell’assessore Stefano Bruno Galli il Pirellone ha calato la mannaia (non solo ma in particolar modo) sugli enti teatrali: quello più gravemente colpito è stato il C.T.B. che vede scendere il contributo ricevuto appunto dalla Regione di ben il 55%, vale a dire dagli attuali 200.000 € ai prospettici 90.000 €.
E, a proposito di “faro”, ecco che l’anello di questo articolo si chiude proprio lì dove si era aperto: per questa Città il Centro Teatrale Bresciano rappresenta molto più, di un teatro. Si tratta di una realtà che, al di là degli spettacoli di altissimo livello che organizzA in proprio e/o ospita presso il Teatro Sociale, il Sant’Afra, il Mina Mezzadri e in altre location, costituisce un punto di riferimento di attività culturali ad ampio spettro e a tutto tondo.
Un FARO, appunto, che ha illuminato le ore più buie della notte del Covid, una insegna luminosa che contribuirà a rendere più scintillante l’anno che ci vedrà Capitale della Cultura assieme a Bergamo.
Il mondo, e in particolare il nostro Paese, in questi mesi e in questi anni appaiono in balia di un mare procelloso, agitato dai venti di epidemie, guerre, crisi energetiche ed economiche, disastri ecologici, è vero.
Ma è proprio quando infuria la tempesta che i fari debbono rimanere accesi per indicare ai malmessi naviganti la giusta rotta.
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La Regione ci ripensi, quanto meno alleggerisca in modo significativo questa decisione presa nel modo sbagliato e nel momento sbagliato, prendendo in seria considerazione gli appunti che la Direzione del C.T.B. ha immediatamente mosso nei confronti di una riduzione talmente aspra da mettere in serio pericolo la predisposizione di un’offerta culturale che si mantenga sui consueti livelli di eccellenza.
E lo faccia presto, prima che tutti noi si diventi naufraghi del Teatro e della Cultura, che è un gran brutto modo di annegare.
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