Brescia città del Teatro (16) – Federica: la maschera può cambiare, il sorriso no.

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Da altera e acida mademoiselle dell’alta borghesia francese degli anni trenta a introversa e tormentata figlia di un popolo indurito dagli stenti e dalle prevaricazioni subite sin dalla più tenera età.

Passare dall’interpretazione di un personaggio a quella dell’altro, nella stessa pièce, di cui si sono interiorizzati messaggi eatmosfere sottostanti, non è cosa per tutti.

Perché la versatilità è una delle principali caratteristiche di un attore, e la brescianissima Federica Foresti, di cui vi apprestate a leggere un’approfondita intervista, ne è dotata quasi altrettanto di quanto non sia animata dalla passione per il palcoscenico e la ribalta.

E tra poco ne saprete di più.

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Quali furono i tuoi primi passi in palcoscenico?

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La mia storia con la recitazione inizia quando ero appena tredicenne, studiavo danza da tre anni e in ogni corso mettevamo in scena uno spettacolo. La mia insegnante un giorno mi chiese se, oltre a danzare, me la sarei sentita di recitare qualche battuta di «Nightmare before Christmas» di Tim Burton. Accettai subito e ne fui felicissima.

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Immagino che ti sarei chiesta mille quali fossero volte le origini e le motivazioni di questo tuo precoce amore.

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In effetti sì, ma  ti confesso che non ho faticato molto nel trovare la risposta giusta: Adoravo esibirmi, muovere il corpo, emozionarmi ed emozionare chi mi guardava, ecco tutto. E ciò non riguardava esclusivamente la danza: ad affascinarmi e ad attrarmi irresistibilmente era tutto ciò che riguardava le arti sceniche, tanto che (oltre a ballare) nel corso di quegli anni presi parte anche ai laboratori di canto che si tenevano nella mia scuola. La verità è che ho sempre desiderato avvicinarmi in qualsiasi modo al mondo dello spettacolo e a entrare a farne parte. L’emozione che ogni volta che assisto a un bel un film, o a uno spettacolo teatrale ben scritto, ben diretto e ben recitato, o a un’esibizione canora di spessore, è qualcosa di un’intensità inimmaginabile e difficile da spiegare. Per non parlare, ovviamente, di quando sono io che mi trovo ad agire sul palco!

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La prima forma espressiva che hai citato è il cinema, e non può essere un caso.

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Certo che no! Ho sempre adorato il cinema, le pellicole indipendenti (per intenderci quelle che, pur se realizzate a basso budget, riescono a raccontare in modo efficace e  suggestivo storie importanti). Il mio regista preferito è da sempre Quentin Tarantino e ho un grande, grandissimo debole per Sergio Castellitto. Mi appassionano molto  anche i musical: in particolare ho un debole per «Notre Dame de Paris», con le fenomenali musiche scritte da Riccardo Cocciante,  che, fin da quando ero bambina, arrivo a guardare in dvd almeno dieci volte all’anno.

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Torniamo di nuovo indietro nel tempo. Dopo i “primi passi”, cosa?

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Dopo il mio primo breve e casuale incontro con la recitazione, purtroppo, alcune vicende personali mi distrassero dal percorso artistico, interrompendolo. Dopo il diploma avrei voluto iscrivermi al DAMS di Bologna ma, un po’ l’età, un po’ l’insicurezza, mi lasciai influenzare da chi, accanto a me, continuava a ripetermi che  “con l’arte non si mangia”. Così scelsi di frequentare la facoltà di Lingue. Come spesso accade per le forti passioni, però, la voglia di recitare non accennava a placarsi e così mentre facevo l’università, seguivo i corsi di teatro della compagnia Il Nodo Teatro. Il cammino percorso con questa bella scuola fu intenso e ricco di significati e valori. Tra l’altro mi diede modo di confrontarmi con la mia innata timidezza, uscendo vincitrice dal confronto. È lì che imparai che saper recitare non è un dono riservato soltanto a chi Madre Natura fa dono di questo talento, “perché o ce l’hai o non ce l’hai”, ma qualcosa che, pur richiedendo una certa predisposizione in chi ci si cimenta, è qualcosa che si può acquisire attraverso un’applicazione e un impegno costante nello studio. In questo, i miei insegnanti-registi sono stati tutti fonte per me di forte stimolo e di grande  ispirazione. Con loro ho portato in scena Molière, William Shakespeare, Jean Genet,  lavorando gomito a gomito con artisti di grande valore. Un’esperienza che mi ha arricchita sotto tanti punti di vista.

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Quindi sei partita per il tuo viaggio in palcoscenico…

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E no, ahimé. Perché poi arrivò un nuovo stop. Nell’approssimarsi della laurea, dovetti trasferirmi quattro mesi in America, per fare pratica di lingua in loco. Tornai in Italia, mi laureai e, appena un mese dopo, comincia a lavorare a Milano. Insomma, un susseguirsi di scadenze importanti che sostanzialmente mi travolsero e che, inevitabilmente, mi costrinsero ad accantonare la passone per il Teatro.

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Eppure, se ti sto intervistando in questa sede, la tua love story con il palcoscenico non può essersi interrotta lì.

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Il “blocco”, se così sui può dire, si protrasse fino al marzo del 2020, l’ annus horribilis della pandemia. Durante la quarantena ebbi odo di soffermarmi su quanto, nonostante i tumultuosi cambiamenti subiti dalla mia vita, nonostante il mio procedere oscillante  e un po’ tormentato nel mondo dello spettacolo, ancora mi mancasse riprendere a recitare.  Era come se Era come se il Teatro continuasse a bussare ogni giorno alla mia porta per dirmi “Su!, Su, Federica! Sei stata lontana da me per troppo tempo, adesso devi riprendere a frequentarmi!”. E, neanche a farlo apposta, un amico di mia mamma, mi informa che la regista Katiuscia Armanni sta cercando attori per mettere in scena un dramma di Patrizio Pacioni. Supero il provino, vengo scelta e, da un giorno all’altro, mi trovo coinvolta in un’incredibile avventura.

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Oh! Eccoci finalmente arrivati al tuo attuale impegno: «Christine e Lea – Le serve», prodotta da Le Ombre di Platone e Teatranti. Una pièce che, tra l’altro, in un certo senso, al già menzionato Genet in qualche modo ci riporta.

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Proprio così. Mi viene affidato prima un ruolo poi, per una serie di circostanze, si cambia rotta e me ne viene proposto un altro. Non ho avuto difficoltà ad aderire alle richieste di Katiuscia, che si dimostra da subito una professionista tenace e con una gran cura dei “suoi attori”. Tenace perché non si è fermata di fronte alle difficoltà di questo periodo, capaci di moltiplicare all’inverosimile quelle che accompagnano la costruzione di ogni spettacolo, e ha sempre trovato il modo per tenerci uniti e farci lavorare con entusiasmo, empatia e incondizionato spirito di collaborazione reciproca.

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Ok. Abbiamo parlato tanto di passato. Ma… il tuo futuro di attrice? Come lo vedi?

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Intanto aspetto con eccitazione e tante aspettative, di mettere in scena «Christine e Lea – Le serve». Dopo di che sicuramente continuerò a recitare, questo è certo. Mi piacerebbe, per arricchire la mia formazione, cimentarmi anche in qualche esperienza cine-televisiva, per acquisire le qualità specifiche richieste da quei tipi di recitazione, che mi affascinano molto entrambe e che vorrei tanto acquisire e perfezionare.

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Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è GuittoCirc.png    GuittoMatto