Brescia, città del Teatro (14) – A San Polino l’Antigone che non ti aspetti

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​​Il Piccolo Teatro Libero di Sanpolino, spazio gestito dall’Associazione culturale Llum, è giunto alla sua quarta stagione con importanti novità. Da questa edizione l’associazione collaborerà con Spazio Aità e con la compagnia teatrale Scimmie Nude di Milano. Oltre alla messa in scena di numerosi spettacoli tradizionali e innovativi, ma tutti di garantita qualità, quest’anno offrirà un ampio ventaglio di laboratori dedicati al teatro (per adulti, per bambini e per ragazzi), alla voce, alla dizione e alla danza.

Ieri sera è andato in scena il dramma  «A – jazz d’altomare», liberamente ispirato all’  «Antigone» di Sofocle.

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Il dramma:

La prima rappresentazione dell’Antigone di Sofocle (che, con l’Edipo re e l’Edipo a Colono, fa parte del Ciclo tebano) andò in scena nel 442 a.C. ad Atene, durante la celebrazione delle Grandi Dionisie,  una grande manifestazione d3edicata al dio, nel corso della quale  si teneva solennemente anche un concorso riservato alle tragedie. Il drammaturgo fa di Antigone, nata dal rapporto incestuosio di Edipo con sua madre Giocasta, della discendenza di Cadmo, fondatore di Tebe, un personaggio emancipato che, in nome della morale, si oppone a leggi arcaiche fondate su una rigida concezione dell’onore.

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La trama:

L’opera racconta la storia di Antigone, che decide di dare sepoltura al cadavere del fratello Polinice contro la volontà del nuovo re di Tebe, Creonte (che invece aveva permesso l’inumazione dell’altro fratello  Eteocle). Una volta scoperta la donna viene condannata dal re a vivere il resto dei suoi giorni imprigionata in una grotta. Quando Creonte, convinto dalle profezie dell’indovino Teresia, decide di tornare sui propri passi e di liberarla, è però troppo tardi: Antigone si è suicidata per impiccagione. La sua morte violenta porta altre morti: quella di Emone (figlio di Creonte e promesso di Antigone) e di Euridice (moglie di Creonte) lasciando il Re a meditare sulla propria stoltezza..

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Lo spettacolo:

«A – jazz d’altomare» è una rivisitazione dell’Antigone di Sofocle in chiave contemporanea che vede in scena Alice Salogni, Elena Guitti e Paolo Ambrosi con la regìa di Fabio Maccarinelli. 

Operazione coraggiosa e spregiudicata, alla quale mi sono approcciato non senza un pizzico (forse più di un pizzico) di diffidenza, amante come sono del grande teatro classico, con la convinzione che ogni operazione di  elaborazione e “modernizzazione”  debba essere affrontata con il massimo rispetto del testo e grandissima attenzione.

Nel caso di «A – jazz d’altomare», però, mi sono dovuto  felicemente ricredere: l’opera combinata della regia di Fabio Maccarinelli e della recitazione di Alice Salogni, Elena Guitti e Paolo Ambrosi, parrticolarmente ispirati e calati nelle parti esasperate e rabbiose dei personaggi cui danno vita e spessore.

Una recitazione di nervi, la loro, una recitazione carnale ed esasperata, volutamentre nevrotica e violenta, che si svolge in un ambiente scenografico rovesciato come un guanto, con il pubblico sistemato dove normalmente è posizionato il palcoscenico e gli attori che si muovono e recitano all’interno di un circolo di spettatori, suggerendo tempi e atmosfere di un combattimento da strada. Low cost ma geniali e di eccezionale efficacia e suggestione le scenografie ispirate al cordame delle antiche navi e corredate di sorprendenti accorgimenti.

Battuta dopo battuta, scena dopo scena, si chiarisce l’intento ideologico del progetto di Fabio Maccarinelli: quello di sintetizzare in Antigone quella pietas civile che sempre più si va invece perdendo e dimenticando, nei confronti dei deboli, degli oppressi, dei morti per fame, per guerra, per annegamento nel corso di disperate migrazioni,  per strage.

Alla fine si  spoglia della sua veste rosso sangue, Antigone, e diviene essa stessa perseguitata, migrante. vittima del sistema, gridando uno per uno, insieme agli spettatori (a quel punto totalemente coinvolti emotivamente),  i nomi di morti sconosciuti e misconosciuti.

Non so perché ma sempre più alle fattezze del suo volto e della sua fisicità si sovrappongono quelle di una donna, una capitana coraggiosa e combattiva dei nostri tempi che di nome fa Carola.

Realizzo poi, tornando a casa nella notte di pioggia, che la tragedia greca non è solo mito, non è solo leggenda… è paradigma.

 

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