Brescia città del Teatro (12) – Moltisanti… in paradiso

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In questa scena mossa e frenetica, Andrea Moltisanti è quello a sinistra. Di origine siciliana, l’eclettico attore che ho l’occasione e il piacere di presentarez attraverso questa intervista, coltiva la sua passione per il teatro facendo la spola tra Brescia e Milano, tra il tragico e il brillante, tra il teatro classico e quello contemporaneo.

L’incontro, avvenuto presso il Piccolo Teatro Libero di San Polino, coincide con l’avvio di una nuova e sfidante avventura da palcoscenico che vede coinvolto anche qualcuno che i frequentatori di questo blog conoscono già molto bene.

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Una laurea in lettere e una solida esperienza di docente nella Vita 1, tanto studio, tanta applicazione e tanta passione per il teatro nella Vita 2. Qualcuno disse «Il teatro è specchio della vita. Quindi rappresentazione verosimile, ma bugiarda e ingannatrice, perché tutto quello che nel reale è a destra nell’immagine riflessa appare a sinistra, e viceversa». Ci puoi parlare del tuo innamoramento per la recitazione e di come hai saputo conciliare queste metà asimmetriche e diseguali di te?

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La mia passione per la recitazione nacque per caso, quando da studente lavoravo come maschera nei teatri cittadini. Una volta che gli spettatori si erano accomodati e lo spettacolo era iniziato la cosa più naturale per me e per i miei colleghi era guardare lo spettacolo, una volta, due volte e (perché no?) anche tutte le sere. Inevitabile dunque innamorarsi di quel linguaggio così particolare e suggestivo che solo sulle assi del palcoscenico è possibile immaginare. Da lì i primi corsi di recitazione, la collaborazione con varie compagnie bresciane e infine la scuola di teatro Quelli di Grock a Milano. Tu dici che il teatro riporta un’immagine ingannevole della realtà, ma io non ne sono convinto fino in fondo. Il teatro è un concentrato di vita, e spesso mi sono sentito più autentico interpretando qualcuno dei miei personaggi che nella vita “vera”. Ma la questione è complessa e non si può esaurire in questa occasione.. Ti posso però dire che, citando Eco, anche se lui si riferiva alla lettura, chi ama e pratica il teatro vive mille vite, la propria e quella dei suoi personaggi. Ed è questo ciò che mi affascina. Ti dico anche un’altra cosa: per la mia formazione, basata fondamentalmente su percorsi umanistici e letterari, il teatro è un modo interessante per unire questo aspetto intellettuale con altri aspetti più pratici e, passami il termine, “artigianali”. Montare una pedana di legno per una scenografia, gestire un problema legato ai diritti d’autore, effettuare un bonifico estero per pagare un autore o farsi pubblicità per uno spettacolo sono tutte cose che impari sul campo e che rendono il teatro un’attività quanto mai varia e interessante.

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Sul palcoscenico incontri ravvicinati con Shakespeare e Neil Simon, prima di cimentarti con un autore contemporaneo degli antipodi o giù di lì, con la sottile e intrigante pièce dell’australiano Timothy Daly «L’uomo in soffitta». Va bene che l’eclettismo è una delle principali doti che devono fare parte del bagaglio di un attore, ma… Insomma, dopo aver consumato queste esperienze, senti che ti “calza” meglio la drammaturgia classica o quella moderna?

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Drammaturgia classica senza dubbio, anche perché il classico non smette mai di essere attuale.

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La messa in scena de «L’uomo in soffitta» (alla quale mi sento di augurare di cuore, nel prosieguo del suo cammino, la fortuna che merita un lavoro ben fatto) coincide con l’inizio della tua collaborazione con la Compagnia del Barone. Ti chiedo intanto cosa ha ispirato il nome del gruppo, in un’Italia che più repubblicana di così non si può. Con l’occasione, parlaci della natura, della filosofia e della rotta di questa iniziativa teatrale.

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Il nome della Compagnia del Barone nasce per gioco dal soprannome che nella mia cerchia di amici molti usano per riferirsi a me. Perché Barone? Per le mie origini sicule e per il fatto che adoro il rito e l’abitudine. Da qui il vezzo di fare l’eco alle compagnie elisabettiane “The Lord Chamberlain’s men” e “King’s men“. Questa l’origine del nome. La filosofia che è alla base del gruppo è il progetto autonomo. Dopo anni di produzioni con compagnie di altri ho avuto voglia di creare un’impresa mia. Siamo partiti in quattro nel 2015 e siamo in quattro anche adesso, anche se la formazione non è quella originale. L’idea, dicevo, è quella di gestire in modo autonomo tutti gli aspetti della produzione, dall’affitto della sala prove ai contatti col service, dalla scelta del testo alle modalità di vendita e pubblicità. Tanti oneri insomma e, si spera, tanti onori!

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Per ogni attore c’è un’opera che si augura, più di altre, di avere occasione di interpretare almeno una volta nella vita. Soprattutto c’è un personaggio nei cui  panni si sogna di andare  in scena. È così anche per te? Dai, dicci qual è!

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Il personaggio che prima o poi spero di interpretare?Mercuzio, assolutamente!

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E veniamo al futuro, in particolare al dramma che Patrizio Pacioni ha tratto dal bel romanzo di Entico Luceri (uno dei giallisti italiani più ispirati e apprezzati di questo primo scorcio di millennio) «Punto improprio», che andrà in scena con te e Cecilia Botturi come protagonisti, per la regia di Fabio Maccarinelli. La domanda è: cosa è stato, nel testo, a spingerti a imbarcarti in questa avventura? Qual è stato l’approccio con il personaggio al quale ti appresti a dare voce e spessore?

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Parlando di «Punto Improprio» (e scrivo queste parole alla vigilia della premiazione di Patrizio Pacioni primo classificato proprio con questa opera nel prestigioso concorso Tragos dedicato alla memoria di Ernesto Calindri…in bocca al lupo a lui per domani!) ti dico subito che il testo mi ha convinto alla prima lettura. Il giallo è il mio genere preferito e non è facile -in questo settore- trovare un testo che si adatti al palcoscenico. La proposta che mi è stata fatta, dunque, era un po’ quello che cercavo. I colpi di scena poi sono molto suggestivi e mi fanno pensare ad altre opere che ho letto e che che ho amato: “Sleuth” di Antony Shaffer (da cui il celebre film “Gli insospettabili” con Caine e Olivier) e “Variazioni enigmatiche” di Smith. È decisamente il mio genere e sono sicuro che il genio di Fabio lo renderà davvero emozionante. Il personaggio che interpreterò mi infastidisce abbastanza da farmi capire che parla molto di me, sarà quindi un interessante viaggio alla scoperta dei nostri lati oscuri. Insomma, non vedo l’ora di iniziare!

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Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è GuittoCirc.png   GuittoMatto