Da via Rasella alle Fosse Ardeatine, passando per la Prigione. Non si tratta, ahimé!, di una delle tante varianti del più famoso e diffuso giuoco da tavolo del mondo, ma del racconto di uno dei più tragici avvenimenti che abbia scandito la storia della seconda guerra mondiale nel nostro Paese e che è rimasto inciso come una cicatrice indelebile nella mente e nel cuore di tutti gli italiani di buona volontà.
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L’opera:
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S’intitola appunto «‘A ritorzione» la nuova raccolta di versi firmata da Alberto Ciarafoni, poliedrico artista e prolifico poeta di cui ci siamo già occupati una volta in questa rubrica: precisamente per «Quer 16 de ottobbre» (Ex Libris (21) – Versi romani pe’ ‘na data ‘ndimenticabbile – Cardona (patriziopacioni.com) in cui si rivisita un altro episodio fatidico del devastante conflitto bellico, scatenato dalla follia di Hitler e dei suoi alleati, che stravolse l’Italia e il mondo intero a cavallo tra la terza e la quarta decade del secolo scorso. In quell’occasione Ciarafoni racconta, a modo suo, del rastrellamento eseguito dalle truppe naziste nel ghetto di Roma in riferimento alla deportazione di massa disposta dal Führer per la cosiddetta “soluzione finale della questione ebraica“.
Un momento cruciale, ripreso più volte da letteratura e cinema (prima tra tutte la magnifica pellicola «Rappresaglia» prodotto da Carlo Ponti per la regia di George Pan Cosmatos e la monumentale interpretazione di Marcello Mastroianni e Richard Burton. Senza scordare le musiche composte da un certo Ennio Morricone, naturalmente.
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La mia lettura:
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Al solito, i versi di Alberto Ciarafoni risultano di straordinaria efficacia sia narrativa che emotiva. In essi è condensata, senza nulla togliere all’incalzante ritmo narrativo, l’indole disincantata e criticamente malinconica che da secoli contraddistingue gli abitanti della Capitale, davvero difficili da sorprendere e da sconvolgere, abituati come sono praticamente a tutto. Le fantasiose perifrasi, ma anche le pungenti osservazioni, gli urticanti commenti espressi con amara ironia su persone, situazioni e fatti anche tragici: perché se il nemico non si può battere sul campo, è meglio, almeno, metterlo in ridicolo.
Insomma, ancora una volta, il poeta e performer romano (che ha messo mano anche, con straordinaria efficacia, a una suggestiva traduzione in vernacolo dell’opera teatrale di Patrizio Pacioni «Il mantello scarlatto» vincitore di numerosi e prestigiosi riconoscimenti drammaturgici) ha colto pienamente nel segno, dipingendo un vivido affresco di quei momenti e di quei giorni disperati.
Per fortuna tra gli ultimi, prima della liberazione e della rinascita.
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A proposito. Una zeta al posto della esse, già. Chissà se si tratta soltanto della corretta trasposizione in romanesco della parola ritorsione o, in qualche modo, ci si rifaccia, magari a livello inconscio, anche a quelle minacciose zeta dipinte sulle torrette dei carrarmati invasori della martoriata Ucraina.
Alla prima occasione non mancherò di chiederlo all’Autore.
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L’Autore:
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