«Ha bevuto quella cicuta come se fosse il migliore dei vini e, come tutti sanno, Socrate di vini se ne intendeva. Chiunque beva quanto beveva mio marito, probabilmente morirebbe di cirrosi. Socrate, invece, è morto avvelenato.»
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È così che Santippe, bottegaia che sbarca il lunario trafficando in un antiquariato di dubbia provenienza, dipinge il defunto consorte: beone, vanesio e pieno di sé, distratto, logorroico e persino un po’ cleptomane, all’occorrenza.
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È la Santippe non convenzionale di Friedrich Dürrenmatt, (5 gennaio 1921 – 14 dicembre 1990) scrittore, drammaturgo e pittore svizzero. Autore impegnato politicamente, noto per le sue opere avanguardiste, per i romanzi criminali profondamente filosofici, e sper la sua satira macabra.
È la Santippe, nei teatri italiani, di Franca Valeri (un po’ di tempo fa) e, ora, di Lella Costa, la cui corrosiva critica, intriso di humor nero e di cinismo, nei confronti del marito-filosofo, non risparmia nemmeno il suo entourage: da Agatone ad Alcibiade, a Fedone, per concentrarsi soprattutto su Platone, «il copista di Socrate che spia e ascolta tutto ciò che dice e poi lo scrive».
«Platone non è un imbroglione, è un intellettuale. E gli intellettuali cercano di spiegare le cose che non sanno.» aggiunge Santippe, e nell’arguta massima c’è tutto ciò che serve.
Nei settantacinque (o giù di lì) minuti dello spettacolo, nolteplici le occasioni di sorriso ma altrettanto numerosi gli spunti di riflessione. come il filosofico (e come poteva essere altrimenti) ragionamento sulla “curiosità”: «Chi fa le domande fa sempre la parte del cretino, perché l’unico intellettuale degno di questo nome è colui che conosce le risposte.» Oppure il significativo accenno a un tema molto dibattuto proprio in questi giorni: «La natura conosce due sessi, ma la fantasia degli esseri umani s’ingegna a trovare situazioni e combinazioni diverse.»
Disincantata, sostanzialmente infastidita da quelle che giudica le mediocrità della gente, orgogliosamente femmina e femminista, Santippe però non riesce a nascondere fino in fondo il sentimento che, in un modo o nell’altro, si è sviluppato in lei nei confronti del marito. «Socrate ha tutti i difetti del mondo, come ogni altro sposo: è disordinato, sporca la casa, parla con tutti tranne che con la propria moglie, ma dopo un po’ a quella faccia che gira per casa finisci per abituartici e alla fine, magari ti ci affezioni.» ammette, suo malgrado.
Per arrivare alla consolatoria confessione finale, indirizzata ai siracusani: «Sono felice di esserne stata la sposa.»
Appassionata e colloquiale la protagonista che, alla fine, mentre il pubblico le rivolge i suoi applausi, cede alla commozione di un mai tanto anelato ritrovarsi tra palcoscenico e platea.
Se ci fosse stato un question time, però, accettando pienamente l’accento siciliano che viene messo in bocca al tiranno Dionigi, avrei chiesto a Lella Costa «Perché mai Socrate parla con l’accento bolognese?»
Un mistero alla Dürrenmatt, di quelli destinati a rimanere tali.
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Che bella cosa il teatro di nuovo in funzione ! Mi sarebbe piaciuto esserci. Grande Lella Costa. ! Bella recensione, Cadorna! Grazie
Grazie a Te, Orietta.
È davvero arrivato il momento di ripart ire.
Anzi, no. Di rinascere.
Il Teatro, la Musica, la Danza…sono davvero, senza retorica, il sale e lo zucchero delle nostre vite.
Qui in questo blog e fuori, ovunque, abbiamo fatto, facciamo e faremo tutto quanto è in nostro potere per ribadire e difendere la centralità dello spettacolo dal vivo e i diritti degli spettatori e della gente (tanta) che nei teatri lavora con grande impegno e sconfinata passione.
GuittoMatto