Un passato tirato su a mattoni, stucchi e arredi.

.

E siamo alla quarantottesima (grande) stagione teatrale, battezzata dal C.T.B. «E ti vengo a cercare». Non a caso, vista che l’azione non solo dell’Ente bresciano, ma di tutti i suoi confratelli sparsi in tutta Italia è proprio una convinta ed energica azione di reindividuazione e recupero dei tanti spettatori, effettivi e potenziali, allontanati dalle sale a causa della pandemia.

A inaugurarla la pièce «E ti vengo a cercare» di Vitaliano Trevisan, scrittore, attore, regista, sceneggiatore e -naturalmente- drammaturgo di feconda e versatile produzione e di complessa personalità.

.

.

.

.

.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è CTB2.jpg

.

Il testo

La Signora, anziana vedova di un ricco imprenditore, torna dopo anni e anni di assenza nella villa di sua proprietà affacciata su un lago, con annesso cimitero privatoprogettata da un grande architetto. Nell’approssimarsi di un cupo e minaccioso temporale, la donna rievoca il proprio passato di attrice, la rinuncia alla carriera per diventare moglie e (pur scarsamente convinta) madre di un figlio difficile. Con lei interloquiscono prima un badante efficiente, pacato e di pochissime parole, poi un erudito professore di storia dell’architettura.

Pur se mai nominato, il grande architetto è facilmente individuabile nel talentuoso e originale veneziano Carlo Scarpa, morto a Seitan per un banale incidente domestico. Ed è decisamente lui, il vero centro del testo: con la sua eccentrica originalità, l’arcana attrazione per una Bellezza che si illude di poter catturare curando in modo maniacale ogni dettaglio, senza accorgersi che è la Bellezza ad avere catturato e reso schiavo lui.

Ricordiamo alcune incisive battute colte quà e là, come fiori di un variopinto bouquet.

«La mia era una di quelle bellezze che vanno bene per il teatro, ma non per il cinema» dice di sé la protagonista. «Si prova un sottile piacere a parlare e muoversi di fronte a un pubblico che è obbligato a tecere, che però poi si paga con il prima e il dopo spettacolo» aggiunge, parlando della sua carriera di attrice, per concludere candidamente che «A pensarci bene, il teatro mi piaceva più vuoto».

Parlando poi dei rapporti con il defunto marito, la Signora rivela di essersi rifiutata di farcisi seppellire accanto nel cimitero privato, una volta che arriverà il momento: «Non abbiamo dormito vicini da vivi, perché dovremmo farlo per l’eternità da morti?». Con la stessa macabra ironia che utilizza per ricordare poi che il consorte si è fatto seppellire in posizione verticale e che immagina di sentire il rumore che faranno le ossa, a decomposizione avvenuta, cadendo sulla base della bara.

.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Paiato1.png  Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Paiato2.png

.

Lo spettacolo

«Il delirio del particolare» (vincitore del premio Riccione 2017, è uno di quei testi che non propongono una vera e propria storia (perché non c’è niente che possa accadere, quando tutto è già accaduto), ma dipanano una serie di considerazioni e ragionamenti capaci di indurre il pubblico a profonde riflessioni e autoanalisi, per rendere i quali potabili per il grande pubblico è necessaria, se non indispensabile, un’impeccabile regia e la prestazione di chi, per tutto lo spettacolo, ne sostiene sostanzialmente il peso. È senz’altro questo il caso di una grande Maria Paiato che poche ore fa, al Teatro Sociale, ha fornito una prova attoriale di assoluto valore, egregiamente supportata dalla nitida recitazione di un Alessandro Mor (il badante) capace di una efficacissima occupazione degli spazi e dei silenzi attraverso una perfetta gestualità, e dalla ineccepibile interpretazione di Carlo Valli nelle vesti dell’erudito Professore.

.

.

.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è CTB.png

.

      Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è GuittoCirc.png   GuittoMatto