Il paradosso di un gran bugiardo che spiega la verità.

Il Teatro è un orologio a pendola senza lancette e con i contrappesi fermi, una clessidra messa per traverso, una meridiana solitaria nel cuore della notte. Ma anche un astuto trafficante di pensieri, sogni e visioni che nel magazzino custodisce merce rubata, e diamanti e pezzi di vetro colorati alla meglio messi alla rinfusa. Un bugiardo patentato che con le labbra distribuisce menzogne ma solo per esprimere profonde e spesso scomode verità. È uno specchio deformante capace di riflettere la realtà che lo circonda e nel quale è immerso con sorprendente rilievo e nitidezza. Ed è nelle pieghe del sipario che spesso s’impigliano i più complessi e imperscrutabili misteri della vita, sia quelli gloriosi che i più oscuri.

Il Teatro è un eterno circo sulle cui innumerevoli piste si alternano clowns, giocolieri, bestie… e domatori.

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ph. Andrea Morgillo

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Partendo da questa premessa, prolissa e ridondante quanto si voglia, ma opportuna e necessaria, è venuto il momento di occuparci della prima bresciana della pièce prodotta in collaborazione dal Centro Teatrale Bresciano e dalla Fondazione Teatro Due Parma, scritta da Vittorio Franceschi e dallo stesso interpretata insieme a Chiara Degani. L’opera, andata in scena in un Teatro Sociale come sempre gremito di spettatori, divisi in parti più o meno equivalenti di spettatori abituali e occasionali uniti dalla comune passione per la prosa, si è aggiudicata i due prestigiosi premi Le Maschere del Teatro Italiano 2022 e Franco Enriquez 2023.

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Il sipario si apre su una scenografia originale che evoca l’ambiente circense in modo originale e suggestivo, rafforzato da suoni appropriati. La trama è (apparentemente) molto semplice: una (giovane) giornalista intervista un (anziano) domatore sulla sua lunga e gloriosa carriera.

In realtà, come spesso accade, in palcoscenico come nella vita di tutti i giorni, la situazione si rivela molto più complessa.

Intanto il Circo (come altri circhi) sta attraversando un momento di transizione molto difficile: la legge che vieta l’utilizzo di animali ha di fatto svuotato il messaggio da trasmettere agli spettatori. «Un circo senza bestie è come una cornice vuota» è il concetto che esprime desolato il vecchio domatore, legato alle poche belve (tigri e leoni) che sono rimaste affidate alla sua custodia e alle molte che, nel corso degli anni, si è trovato ad addestrare Pastrengo, Leonia, Trafalgar, Solferino…

«Chi entra nella gabbia dei leoni non può pretendere di uscirne senza un graffio» avvisa il domatore, e ciò vale non solo per le belve a quattro zampre, come quella che uccise suo padre, ma anche per i fatti della vita. E questo non vale soltanto per lui, ma anche per la sua intervistatrice che, nel confronto con lui, vede riemergere problematiche fino a quel giorno in qualche modo occultate a se stessa o, comunque, tenyute sotto controllo.

Il duello dialettico si fa sempre più serrato, toccando nervi scoperti e consumando la sottile patina di finzione che separa il vero dal falso. Proprio come accade in palcoscenico, insomma.

E, alla fine, nessuno dei due sarà più lo stesso di prima. Forse non lo è mai stato.

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ph. Andrea Morgillo

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Pièce infarcita di risvolti psicologici di non facile “somministrazione” al pubblico, ma ben strutturata e realizzata, come testimoniano gli applausi e le ripetute chiamate in palcoscenico che ne salutano e certificano il finale. Ineccepiblie la prestazione attoriale dei protagonisti.

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