Il Jekyll di Sinisi è un doppio misto. Gotico.

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Al di là e prima di ogni altra considerazione su «Jekyll», appena andato in scena al Teatro Sociale, salutato da un lungo e convinto applauso finale, una cosa dev’essere chiara per tutti: impossibile aspettarsi che Fabrizio Sinisi , giovane e talentuoso drammaturgo di casa, si limiti ad “adattare” un testo, fosse anche un capolavoro della letteratura mondiale di tutti i tempi come «Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde», una delle più affascinanti e inquietanti storie scritte da Robert Louis Stevenson, già portata più volte in palcoscenico e sullo schermo (celeberrimi i film del 1931 -regia di Rouben Mamoulian con Fredric March e 1941- regia di Victor Fleming con il magico duo Spencer Tracy & Ingrid Bergman).

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Il libro:


Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde, 1886) è un raccontoo gotico dello scrittore scozzese Robert Louis Stevenson. Un notaio londinese, Gabriel John Utterson, investiga i singolari episodi tra il suo vecchio amico, il dottor Jekyll, e il malvagio Mister Hyde. L’impatto della storia è stato universale, facendo entrare la definizione Jekyll e Hydenel linguaggio comune a significare una persona con due distinte personalità, una buona e l’altra malvagia; o la natura normalmente buona ma talvolta totalmente imprevedibile di un individuo; in senso psicologico, è diventata la metafora dell’ambivalenza del comportamento umano, e anche del dilemma di una mente scissa tra l’Io e le sue pulsioni irrazionali (da Wikipedia)

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La trama in dettaglio:


L’avvocato Utterson viene a conoscenza di uno sgradevole episodio che ha per protagonista Edward Hyde, un sinistro quanto brutale individuo che, a quanto pare, gode della protezione del suo integerrimo amico medico Henry Jekyll. Non riuscendo a comprendere cosa possano avere in comune due persone così diverse tra loro, pensando che Jekyll possa essere sotto ricatto, Utterson decide di indagare personalmente. Nel corso delle sue ricerche, viene a sapere che Jekill sta lavorando su alcune sue strane teorie scientifiche. Quando poi Utterson gli esterna le sue preoccupazioni, il medico gli risponde tranquillamente che può disfarsi dell’altro come e quando vuole. Le cose, però, non vanno come previsto: viene commesso un delitto, di cui Hyde è dichiarato colpevole e Jekyll si incupisce e si chiude in se stesso sempre più. Hyde sembra scomparso, ma l’umore del medico si fa sempre più cupo, finché, nel suo studio, viene trovato un cadavere con le sembianze di Hyde e i vestiti di Jekyll. In una lettera è chiarito il mistero: a causa di un siero di sua composizione, in grado di cambiare il suo aspetto fisico e la sua mentalità, Jekill si è sdoppiato separando il bene e il male presenti nel suo animo, ma la parte “cattiva”, gradualmente stava prendendo il sopravvento.
A quel punto allo sventurato medico non è rimasto che il suicidio.

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Lo spettacolo:

Come si è detto in apertura, sulla locandina è scritto “liberamente ispirato all’opera di” e mai parole furono più appropriate: Fabrizio Sinisi smonta e rimonta a modo suo l’opera, sia in senso narrativo che cronologico, rendendola qualcosa di collegato all’originale ma, nello stesso tempo, di completamente diverso da esso. Il linguaggio è quello che ormai abbiamo imparato a conoscere dell’Autore barlettano: colto, cerebrale, frutto di un lungo e attentissimo lavoro di scelta di termini, parafrasi, perifrasi e circonluzioni, di misura certosina di parole e periodi, propenso a cedere qualcosa all’immediatezza della comunicazione a vantaggio di un’assoluta perfezione della costruzione letteraria e narrativa.

L’atmosfera, grazie anche all’eccezionale lavoro del geniale scenografo Alessandro Chiti (lo stesso di «Macelleria messicana» e «Il vecchio e il mare», tanto per intenderci) immerge lo spettatore in un oscuro ambiente gotico che ammicca senza possibilità di equivoco agli allucinati deliri propri di Edgar Allan Poe, con tanto di cimitero e antica navata di una chiesa.

Il tema è quello del “doppio”: dall’inganno degli specchi, che sembrano dire la verità ma, in realtà, riflettono un’immagine simmetrica all’originale, alla querelle «Non è giusto che le opere d’arte più belle siano copie di altre opere d’arte» all’amara considerazione sulla difficoltà di «distinguere tra un braccio che ti salva e un braccio che ti offende» per finire con gli attori che volteggiano a ritmo di musica conducendo tra le braccia finte ballerine.

La ferita, che lacera narrazione, protagonista e comprimari, è una totale assenza di speranza, ribadita e certificata, con accenti di amaro sarcasmo, da una grottesca confessione e da un arrabbiato discorso delle beatitudini declinato a rovescio. Proprio come in uno specchio oscuro, appunto.

Della sontuosa scenografia abbiamo già detto. Luci, effetti, accompagnamento musicale e costumi impeccabili. Bravissimi gli attori, tutti, con un’ovvia menzione per l’ispirato Luca Micheletti, cupo e rabbioso quanto basta, esuberante nella recitazione come e più di sempre e in piena forma fisica, come dimostrato da una sorprendente corsa nella corsia centrale della platea, degno dello sprint di un centometrista di professione.

Insomma, una grande, doppia conferma: sia delle capacità narrative di Fabrizio Sinisi, sia della crescita che consacra Luca Micheletti come uno dei migliori attori italiani del momento.
E, il sospetto che, per entrambi, il meglio debba ancora venire.

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JEKYLL
di Fabrizio Sinisi
liberamente ispirato all’opera omonima di Robert Louis Stevenson
regia Daniele Salvo
scene Alessandro Chiti
costumi Daniele Gelsi
luci Cesare Agoni
musiche originali Marco Podda
maschere e oggetti scenici Bruna Calvaresi
con Luca MichelettiCarlo ValliGianluigi FogacciAlfonso VenerosoSelene GandiniSimone CiampiElio D’Alessandro
produzione Centro Teatrale Bresciano
video promo Nicola Lucini – Arkfilmmaker

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GuittoMatto

Un commento su “Il Jekyll di Sinisi è un doppio misto. Gotico.

  1. F.B., attrice bresciana, scrive (anzi detta, tramite whatsapp) una garbatissima quanto decisa presa di distanze dalla mia recensione.
    Ecco la mia replica, spero esaustiva.

    «Cara FB, mi dici testualmente: “Uno spettacolo con un impianto spettacolare più atto a fare scena che ad altro abbastanza kitsch – regia che non ho capito”
    Al di là delle preferenze personali, ho trovato l’impianto dello spettacolo estremamente coerente con le scelte fatte: si è voluto collocare «Jekyll» nel periodo storico di riferimento, e ciò, a mio avviso spiega in modo esauriente le scelte fatte da regista e scenografo: dal 1840 a fine secolo, in Europa e negli States va per la maggiore una forma tardiva di neogotico (in architettura il c.d. “gotico perpendicolare”) e neo barocco che ben si sposa con le atmosfere letterarie e teatrali comprese nella seconda parte del XIX secolo (dalla morte di Edgar Allan Poe 1849 alla nascita di Lovecraft 1890) caratterizzate da un cupo estetismo da cupio dissolvi e di atmosfere decisamente, e qui veniamo a un’altra tua considerazione, inequivocabilmente kitsch.
    Insomma, a mio avviso, gotico e kitsch si sposano alla perfezione (mi vengono in mente i fumetti della saga Creeps, se mi consenti il termine kitshissimi – in un neo-neogotico commerciale-consumistico-popolare che tornò a riproporsi negli anni ‘50-’60 del secolo scorso) in un’unione che, me ne rendo perfettamente conto, può piacere o meno.
    Non è detto che, in ogni allestimento si debba dire per forza qualcosa di nuovo. È giusto, secondo me, lasciare spazio, quando si ritiene opportuno, specie in riferimento alla trasposizione in palcoscenico di classici della letteratura, anche alla riproposizione di modelli tradizionali. Così è stato l’anno scorso, per citare un esempio “passato” qui a Brescia, con la tradizionalissima messa in scena de «I miserabili» con Branciaroli, così è, nella stragrande maggioranza dei casi, sempre restando in Italia, per il repertorio Goldoniano o per le opere di Eduardo.
    In questo senso, a mio avviso, va spiegata quella recitazione che definisci “vecchia e fuori dal tempo” aggiungendo che “non ho trovato la verità… non c’è stata empatia… se questo è il futuro del teatro contemporaneo, mi sono sentita sconfitta”: la mia opinione in merito è che, evidentemente, a un impianto tradizionale, con la coerenza di cui si è parlato all’inizio, il regista abbia voluto abbinare (in questo assecondato perfettamente dagli interpreti) di altrettanto tradizionale recitazione. Una squadra di autentici professionisti con il “solista” Micheletti, pieno di talento, di grande fisicità e presenza scenica, che deva, a mio modesto avviso, stare attento solo a frenare un ego imponente e –in certi casi- sin troppo arrembante e “mattatoriale”.
    Aggiungo, ma non credo ce ne sia bisogno, che quanto sopra è soltanto la mia prospettiva e che, per disgrazia o per fortuna, l’impatto con uno spettacolo teatrale resta sempre e comunque prevalentemente personale, senza cioè poter essere codificato secondo criteri estetici e culturali pre-strutturati.»

    Un caro e cordialissimo saluto da GuittoMatto e… viva sempre il Teatro!

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