Goodmorning Brescia (267) – La Fattoria? Per una sera si è trasferita in Via dei Mille!

Il riferimento, piuttosto trasparente, è al libro visionario scritto da George Orwell e pubblicato per la prima volta nei giorni immediatamente successivi agli olocausti d Hiroshima e Nagasaki, rispettivamente del 6 e 9 agosto 1945, che misero fine nel più atroce dei modi al macello della seconda guerra mondiale.

Quello, cioè, che è considerato, a pieno titolo, un capolavoro della letteratura mondiale, al pari del distopico romanzo di oscura fantapolitica «1984» (titolo originale «Nineteen Eighty-Four») uscito in libreria e regalato al mondo cinque anni più tardi.

Entrambe le opere furono poi riprese dal cinema in varie versioni: la prima nel 1954 e nel 1999, la seconda, guarda un po’, proprio nel 1984.

In «La fattoria degli animali» si narra della rivolta degli ospiti della fattoria del sig. Jones, decisi a opporsi in ogni modo alla rovinosa gestione del proprietario, il signor Jones, troppo impegnato a ubriacarsi per occuparsi del lavoro. In presenza di una situazione economica e operativa che si è fatta ormai disastrosa, sotto la guida del maiale Napoleone gli animali decidono di ribellarsi per dare il via a una fantasiosa quanto efficacissima autogestione.

Fatta questa lunga ma necessaria premessa, ma ritengo opportuno precisare subito che per gli animali parlanti (e dolenti) protagonisti dello spettacolo «La fattoria degli animali» andato in scena ieri sera presso lo Spazio Illich di Via dei Mille, scritta e messa in scena da Biagio Vinella, la faccenda è ben diversa.

Quelle di cui si parla nella pièce, diretta dallo stesso Vinella, sono invece le vittime predestinate e innocenti dell’attuale sistema di alimentazione umana.

Povere creature senzienti segregate nella prigionia più degradante, in condizioni di cattività ben oltre i limiti del tollerabile. Vilipese, seviziate, senza nessuna pietà, senza alcuna regola tranne quella di trarne la carne, o il latte, o qualsiasi altra sostanza prodotta dal loro metabolismo nel modo più efficace de efficiente possibile.

Il gioco, insomma, non è di animali parlanti, che assumono capacità gestionali e decisionali consuetamente appannaggio esclusivo degli esseri umani, ma del tentativo di immedesimarsi in loro per comprendere fino in fondo l’obbrobrio di ciò cui sono sottoposti.

Tre quadri.

Il primo dedicato a un vivaio di pesci (probabilmente trote) coinvolge gli spettatori concentrandoli a stretto contatto di corpi sul palcoscenico, il cui spazio è ulteriormente limitato da una rete. Una dei presenti mi confida che, sia pure per pochi minuti, si è trattato di una sgradevole sensazione claustrofobica e disturbante.

Il secondo a un gruppo di polli avviato al macello. Gli animali si confidano le mille brutali torture fisiche e psicologiche sofferte all’interno dell’allevamento intensivo in cui sono nati e cresciuti. E, nonostante tutto, nonostante la sostanziale consapevolezza della fine imminente, si aggrappano a l’illusoria speranza che qualcosa possa accadere. O per evitare la loro esecuzione o, dopo il loro sacrificio, che gli “umani” si ravvedano e pensino a un mondo migliore.

La terza, in apparenza la più leggera, è in realtà, a modo di vedere di chi scrive, la più disturbante: due imbonitori da televendita magnificano le virtù di un orrendo attrezzo utile a stimolare l’ovulazione delle vacche, perché siano inseminate con un buon risultato. Ciò che colpisce, al di là della crudezza della descrizione del processo di fecondazione, il contrasto tra i lustrini e i finti entusiasmi che escono dal simbolo primo del consumismo collettivizzato, alla tristissima, squallidissima realtà del commercio di ogni prodotto animale destinato alla grande e media distribuzione.

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Parlare dello spettacolo in quanto tale (pièce antispecista la definisce l’autore), in questa occasione, mi risulta un po’ più difficile del solito. Vinella ha voluto evidentemente sperimentare la “esportazione” in un locale aperto a un pubblico adulto ordinario un format che da anni fa circolare nelle scuole bresciane con grandissimo successo. Ovviamente le caratteristiche forzatamente didattiche di eventi di quel tipo, interpretati dagli stessi studenti, non sempre si attagliano con quelle di uno spettacolo teatrale. Per farlo, l’autore/regista si è avvalso della collaborazione, accanto ai più giovani (e bravissimi) Ester Amobea, Daniele Castellano e Maria Moruzzi, di attori “veri”, come Stefano Comini, Samuele Danesi e Lia Pironi. Ne viene fuori un prodotto di alto valore etico, ovviamente, assai coinvolgente nei confronti degli spettatori (e questo penso ne sia l’obbiettivo principale) che però, per forza di cose, ancora non risulta pienamente potabile dal punto di vista teatrale.

La sfida, per Biagio Vinella, è di capire ora se sia possibile conciliare l’aspetto educativo e quello spettacolare con qualche intervento sul testo o sulle modalità di rappresentazione o se, invece, per veicolare messaggi sia necessario accontentarsi di un equo compromesso.

Ai posteri l’ardua sentenza.

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