Emmanuele Navarro nasce il 9 marzo 1838 a Sambuca Zabut (odierna Sambuca di Sicilia), nell’Agrigentino, dove il padre Vincenzo, medico e poeta, originario di Ribera, s’era trasferito nel 1837 a causa della malaria. Quanto al titolo di “conte della Miraglia”, con cui a partire dalla nota editoriale apparsa sul periodico palermitano Senzanome, Navarro firma le proprie opere, sembra che si tratti semplicemente di un nom de plume.
Tra 1856 e 1858 risiede stabilmente a Palermo per frequentare la facoltà di giurisprudenza; negli stessi anni collabora con il periodico culturale-letterario sambucese L’Arpetta, fondato dal padre.
Dopo qualche esperienza nel campo giornalistico all’indomani dell’Unità d’Italia, approda in Francia nel 1864 grazie all’interessamento di Alexandre Dumas, direttore del giornale napoletano “L’Indipendente”, al quale Navarro collabora per qualche anno. A Parigi rimane fino al 1873, scrivendo articoli per tre diverse testate, Le Nain Jaune, La Vie parisienne e La Vogue parisienne. Trasferitosi a Milano, dopo aver assistito, nel 1870-71, alla caduta del Secondo Impero (in relazione alla quale, come corrispondente del Corriere di Milano e de L’Italia Nuova, racconta le vicende della guerra franco-prussiana, l’assedio di Parigi e «ributtante spettacolo della Comune»), avvia una intensa collaborazione con diverse riviste e quotidiani tra Milano, Firenze, Torino e Roma.
È dunque dopo il rientro in Italia, dal 1872 al 1885, che si concentra il periodo centrale della attività pubblicistica e letteraria di Navarro. Proprio a Milano entra in contatto con i circoli in cui si diffondono le idee naturalistiche e si muovono letterati come Giovanni Verga e Luigi Capuana, raggiungendo una fama che convince l’editore Ricordi a sceglierlo come autore dei versi di due composizioni musicali di Giuseppe Perrotta, Addio! e Il canto del marinajo. Nello stesso periodo approfondisce la conoscenza delle problematiche della scapigliatura, prima di dare vita , nel 1880, alla rivista “La Fronda” che però non incontra il successo sperato e ha breve vita.
Al principio degli anni settanta vengono pubblicate le sue prime prove narrative, d’ambientazione mondana, ispirate ad un realismo borghese che ha per modelli principali i romanzi e il teatro di Dumas figlio: «Le fisime di Flaviana» (1873) e «La vita color di rosa: schizzi e scene» (1875), opere di tematica esclusivamente amorosa. Ma Navarro comincia a far parlare di sé anche come narratore quando dà vita a un breve romanzo di ambientazione rusticana, «La Nana» (1879), una delle prime opere letterarie che documentano la vita della Sicilia rurale, che gli valgono l’inserimento a pieno titolo nei principali saggi critici sulla letteratura italiana post-unitaria come esponente minore del verismo e della letteratura regionale. Purtropp, la sua attività creativa si arresta fin troppo presto: nei primi anni ottanta, infatti, Navarro lascia Milano per trasferirsi a Roma dove va a ricoprire il ruolo d’insegnante nel Magistero femminile. La produzione letteraria subisce da quel momento in poi una drastica riduzione: nei primi cinque anni di soggiorno nella Capitale continua una certa attività giornalistica e letteraria, collaborando al “Fanfulla della domenica” e alla “Cronaca bizantina” e pubblicando «Donnine» (1883) di tematica sentimentale e mondana) e «Storielle siciliane» (1885), in cui si ritrova l’arguto spirito di osservazione profuso ne «La Nana». Sono però gli ultimi fuochi. A partire dal 1885 e fino alla morte (1919) l’attività di narrazione cessa completamente e Navarro prende a occuparsi esclusivamente di traduzione di testi francesi (particolarmente opere teatrali e testi scolastici per l’insegnamento della lingua.
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Ora che si è parlato dell’Autore, ripreso e rivalutato in proporzione all’effettivo valore e agli effettivi meriti grazie anche e soprattutto alla instancabile opera del professor Enzo Randazzo, è arrivato il momento di parlare del suo romanzo «La nana», oggetto di questo articolo.
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La trama:
Nel piccolo mondo di un cortile di Villamaura (località creata dall’immaginazione di Navarro che richiama molto da vicino la natia Sambuca di Sicilia) scocca la scintilla tra Rosaria Passalacqua (che dal padre ha ereditato il soprannome) e Pietro Gigelli, altero, vacuo e sfaccendato rampollo “di buona famiglia”. un lungo gioco di sguardi, di complici silenzi, di frasi che ne nascondono altre che non si possono pronunciare, che conduce i due giovani verso il tormentato quanto inevitabile sbocco di ogni passione. Peccato solo che il dislivello sociale che divide una figlia del popolo qual è Rosaria e un esponente della nuova borghesia come Pietro, peraltro legato in promessa a un’altra giovane del luogo, Grazia Fragalà, meno avvenente e sensuale della Nana ma senz’altro di posizione sociale ed economica molto più elevata escluda il coronamento di un matrimonio. Scoppia lo scandalo, che brucia aspirazioni e speranze pur legittime come il fuoco con le stoppie in un agosto torrido e siccitoso. Riuscirà l’amore dell’umile Rosolino Cacioppo, (non troppo) segretamente innamorato di Rosaria, a sanare ferite tanto profonde e sanguinose?
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La mia lettura:
Senza indugiare in inutili preamboli, «La Nana» è uno di quei libri che, non appena si arriva alla parola “fine”, fanno sorgere l’amaro rimpianto di non aver avuto in precedenza la sorte e l’avvertimento di averlo prima tra le mani, suscitando nel contempo uno smodato appetito di recuperare e leggere al più presto altri testi dell’autore che lo ha scritto. L’età della scrittura (quasi un secolo e mezzo) è rivelata solo dall’utilizzo qua e là di temini caduti con gli anni in disuso, ma la struttura del testo, unitamente a certi meccanismi narrativi, è di una straordinaria attualità. Il punto forte, a mio avviso, è la potente descrizione di luoghi, situazioni e usanze, tali da scolpire in alto rilievo sulle pagine del libro una viva e vivida ricostruzione di una Sicilia forse scomparsa ma resa immortale attraverso le parole dello scrittore. Rumori, odori, luci e ombre che, una volta lette, rimangono impresse indelebilmente nella mente e nell’anima del lettore. Così è per la descrizione del microcosmo del “cortile” (un quadro come spesso ne faceva Goya), per il temporale estivo che si abbatte su Villamaura, per la fiera del paese, per il rito comune della vendemmia, i giorni languidi e oziosi della villeggiatura, le piccole trasgressioni permesse solo a carnevale…
Una parola ancora sull’ampia e meticolosa introduzione redatta dal già nominato professore Enzo Randazzo, che è, da sola, un piccolo trattato di critica letteraria. Un articolato testo nel quale si analizza con profondità e dovizia di particolari, sia la scrittura di Navarro della Miraglia che ogni significativo passaggio del testo e, in forma analitica e puntuale, i singoli personaggi del romanzo. Dopo la lettura, in tutto mi sono trovato d’accordo con lui, in tutto, tranne che in una cosa: l’interpretazione del finale, decisamente più pessimistica della sua.
Nell’abbraccio tra Rosaria e Rosolino, che sigilla le ultime battute della storia, infatti, a differenza del professor Randazzo, io vedo resistenza sociale e un promettente (e quasi rivoluzionario, per i tempi) seme d’innovazione, sì, ma non autentico riscatto personale. Rosaria non ama Rosolino e, molto probabilmente, non lo amerà mai. Piuttosto gli si aggrappa, come fa chi si trova in difficoltà in un mare in burrasca, con uno scoglio, pur sapendo che su quella pietra solida, ma corrosa e resa urticante dal lavorio millenario dell’acqua salata e dei venti, inesorabilmente rimarranno attaccati brandelli di pelle abrasa. Il bravo Cacioppo, il mansueto Cacioppo, l’onesto e infaticabile lavoratore Cacioppo, è l’isola sperduta nell’oceano che accoglie una naufraga alla deriva, piuttosto che l’inclito porto d’arrivo anelato dal romantico cuore di una fanciulla in fiore. È una per quanto benevola costrizione anch’egli, un uomo per cui Rosaria non prova alcun trasporto e alcuna passione, che non ama e che, probabilmente, mai amerà, disposta però a manifestargli e a dimostrargli, per una vita, la gratitudine che si deve a un salvatore.Ma forse pretendere da .
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A chi dovesse avere la fortuna, presto o tardi, di trovarsi a Sambuca di cui si è già trattato poco una ventina di giorni fa su questo stesso blog (https://cardona.patriziopacioni.com/il-gioiello-saraceno-la-bellezza-e-le-case-a-1-e/), raccomando di visitare la biblioteca dedicata a Navarro della Miraglia, ospitata nei locali della locale filiale della Banca Sicana. Merita per intero tutto il tempo che dedicherete al sopralluogo, ve lo assicuro.
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