Ex Libris (33) – Donato e Paola, sfida a dist-ANSIA

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Uno è stato pubblicato da poche settimane, l’uscita dell’altro risale a quattro anni fa.

Diversi gli autori, per formazione, vocazione e storia personale e letteraria.

Eppure questo crossfire di recensioni un senso ce l’ha o, perlomeno, ce lo vorrebbe avere.

Si parla di «Il maestro delle ombre» di Donato Carrisi (Longanesi & C. 2016) e di «Vengo a prenderti» di Paola Barbato (Piemme giugno 2020) letti dal sottoscritto in rapidissima successione ed, entrambi, (ve lo assicuro, così mettiamo subito in chiaro le cose) con grande soddisfazione e godimento mentale.

Prima, però, bisogna parlare delle rispettive trame:

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Editore: Longanesi
Collana: La Gaja scienza
Anno edizione: 2016
Pagine: 400 p., Rilegato
Prezzo: 18,80 €
  • EAN: 9788830439412

«Il maestro delle ombre» s’inserisce nel ciclo del “Tribunale delle Anime”. Il rambo-penitenziere Marcus, colpito da una nuova amnesia, si trova suo malgrado coinvolto in una vicenda oscura che più oscura non si può, costretto a confrontarsi (nell’ambito di un gigantesco blackout complicato dall’esondazione del Tevere, che scatena in Roma violenze di ogni tipo) con alti prelati quantomeno disinvolti e viziosi,  settori della polizi e servizi segreti deviati, maniaci di ogni tipologia, serial killer, sette diaboliche assetate di sangue, rapimenti di bambini e chissà cos’altro. Con lui un’agente di pubblica sicurezza belloccia e piuttosto traumatizzata dalle vicende precedenti.per superare i quali si mostra incline a sdraiarsi su un letto dedicato agli scambisti piuttosto che sul lettino di un buon analista. Ottimo il corredo informativo su strutture, ambienti e leggende metropolitane approfondito dall’Autore e riversato nel testo, incalzante e farcito di colpi di scena il ritmo narrativo, come sempre accade nei libri di Carrisi.

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Editore: Piemme
Anno edizione: 2020
Pagine: 464 p., Rilegato
Prezzo: 18,50 €
  • EAN: 9788856675061

«Vengo a prenderti» è il romanzo conclusivo della trilogia iniziata con «Io so chi sei» e proseguita con «Zoo», piccola saga all’insegna della claustrofobia e del disagio mentale. Qualcuno rapisce uomini e donne tenedoli in cattività, chiusi in condizioni disumane all’interno di carrozzoni di animali da circo o da zoo, appunto.  Chi indaga, il mastodontico agente Caparzo, dovrebbe interpretare la parte del buono, ma si rivela fin da subito il più rozzo e brutale di tutti. Ogni volume è finemente ricamato dalle mani e dall’immaginazione sempre viva di Paola Barbato sulla stessa struttura narrativa, sulla medesima vicenda, ma la sfida dell’autrice è quella di farla vivere dai  lettori in modo diverso cambiando non i fatti ma la prospettiva di osservazione. Dalla prima all’ultima pagina della saga si respirano la stessa ansia e lo stesso disagio che respirano i personaggi e anche qui, come nell’altro romanzo oggetto di questo articolo, non mancano certo i colpi di scena e le sorprese.

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Come ben sa chi ha già speso parte più o meno significativa del proprio preziosissimo tempo leggendo qualcuna delle mie recensioni, però, la mia vocazione è quella di cercare il cosiddetto “pelo nell’uovo”. Insomma, sono un pignolo rompiscatole, lo so bene.

Tanto più in presenza di due romanzi come questi che avrebbero potuto e dovuto rasentare la perfezione (che non è di questo mondo) e che, invece, per motivazioni opposte, restano nei meno ambiziosi limiti di una quasi-eccellenza.

Avete capito bene, ho appena scritto (e avete appena letto) “per motivi opposti”: a una sostanziale equivalenza di tecnica narrativa e di cifra di scrittura, infatti, corrispondono un eccesso di semplificazione da una parte (Carrisi) e una fin troppo esasperata strutturazione dell’intreccio (anzi degli intrecci) attraverso il “ribaltamento delle aspettative” dall’altra (Barbato).

Ma scendiamo più nel dettaglio.

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Nella sua opera, come i larghissima parte delle sue opere, ne «Il maestro delle ombre»  ciò su cui punta maggiormente Donato Carrisi è l’incalzare frenetico degli avvenimenti. I capitoli del suo libro, corti e veloci, sono altrettante sequenze cinematografiche; un gioco talmente scoperto da far capire senza bisogno di leggere i fondi del caffè, che lo scrittore (che si è già sperimentato  positivamente dietro una macchina da presa) sia sempre pronto a trasformare le pagine che scrive nella sceneggiatura di un film di azione.

Dov’è il limite, in tutto ciò? La risposta è piuttosto semplice: la scelta (intendiamoci più che legittima) operata dall’autore, cioè quella di privilegare gli occhi e la pancia del lettore, di scuoterlo suscitando reazioni primordiali come sorpresa, paura, repulsione e rabbia, anziché sedurne la mente, esattamente com’è vincente fare nel buio di una sala cinematografica, inevitabilmente toglie qualcosa all’approfondimento e al razionale sviscerarsi delle situazioni, in una parola sola alla “credibilità” del testo.  

Donato è così, i suoi lavori non sono bicchierini di cognac invecchiati per anni nelle loro pregiate botti di quercia, da degustare a piccoli sorsi, ma eccellente birra in boccali da svuotare in poderosi e voluttuosi sorsi. 

E così sapido e imperfetto, personalmente, mi piace.

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Adesso è il turno di «Vengo a prenderti» , che si può definire la sfida estrema in cui si è voluta cimentare la scrittrice gardesana che vanta nel proprio bagaglio professionale-artistico anche il lavoro che da anni porta avanti (avendo firmato alcune tra le migliori storie dell’Indagatore dell’Incubo) in qualità di sceneggiatrice del fumetto Dylan Dog (sulle cui recenti strategie editoriali si è recentemente soffermato il collega Re Censore nella sua rubrica “Nuvole di parole”. 

Al contrario di quanto accade con Carrisi, Paola Barbato s’immerge fino alla cima dei capelli in un’opera di introspezione psicologica delle pulsioni e delle paure che affollano le menti più problematiche. Nel trittico dei carrozzoni non esistono persone normali, ma solo inquietanti soggetti meritevoli ciascuno di decenni di sedute psicoanalitiche e, quando ciò non dovesse bastare, di massicce e ripetute somministrazioni giornaliere di psicofarmaci. 

L’impegno spasmodico di rendere più complessa e articolata la trama, di costruire a ogni pagina trappole per il lettore, inducendolo a credere ciò che non è e distogliendolo con incontestabile abilità da ciò che invece realmente è, la voglia di sorprendere e stupire portata all’estremo, pervade ogni singola pagina dei romanzi della saga, con l’ultimo che, in realtà, si risolve in un articolato e complessissimo spiegone finale nel quale, peraltro, l’autrice riesce a mantenere alti in modo adeguato l’interesse e la tensione dei suoi affezionati lettori.

Qui, però, nella più volte ribadita eccellenza della costruzione della macchina narrativa e nel nitore della bella scrittura, solo all’occhio più attento si manifestano due piccole imperfezioni:.

La prima è rappresentata dal fatto che, contrariamente a quanto più volte manifestato da Paola Barbato, che avrebbe voluto tre opere autonome, perfettamente fruibili e godibili a prescindere da un ordine preciso di lettura, soprattutto con questa ultima uscita appare difficile poterne cogliere pienamente il significato e la genesi senza conoscere ciò che è raccontato nei due volumi già usciti in libreria. La seconda dal fatto che la fortissima determinazione nell’affrontare alcuni passaggi con una razionalità persino esasperata, si risolve in una specie di sofisticato esperimento da laboratorio che, pur condotto con estrema abilità, non sempre risulta conciliabile con la realtà della vita di ogni giorno, sfera criminale compresa. Per la semplice ragione che il troppo logico, ahimé, non è di questo mondo.

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Detto questo.

Paola Barbato e Donato Carrisi rappresentano l’assoluta eccellenza della letteratura italiana di genere, negarlo sarebbe folle. I due libri oggetto di questa bizzarra recensione di coppia – confronto raccontano in modo suggestivo storie che meritano di essere lette e, per quanto riguarda gli appunti mossi…

…  mi viene in mente che i maestri vasari cinesi all’epoca della dinastia Ming, a quanto si narra, erano soliti imprimere con un’unghia minuscole screziature nei capolavori di cui erano eccelsi artefici, allo scopo di non suscitare, con cotanta perezione e beltà, l’invidia degli dei.

Sarà per questo che?

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