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Dell’iniziativa di Elisabetta Pozzi e del Centro teatrale bresciano «Teatro aperto» si è già parlato in questo blog, nell’articolo apparso in questo blog lo scorso 9 novembre, di cui riportiamo il link.
(https://cardona.patriziopacioni.com/profumo-di-novita-al-san-carlino-con-teatro-aperto/)
A causa di una serie di impegni non ero però riuscito ad andare al San Carlino per vedere di cosa esattamente si trattasse.
L’ho fatto ieri pomeriggio, assistendo, con grandissima gratificazione, alla lettura scenica di «Terra Santa» di Mohamed Kacimi scrittore e algerino nato da una famiglia di teologi, allievo prima di una scuola coranica, poi di una scuola francese. Ed è proprio utilizzando la lingua francese, che Kacimi ha scelto di comporre le proprie opere.
Notizie più dettagliate su di lui potrete reperirle attingendo alla “santa” wikipedia, a questo link: https://fr.wikipedia.org/wiki/Mohamed_Kacimi.
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Mohamed Kacimi e il libro «Terra Santa» pubblicato da Elliott Edizioni nel 2008 (13 € – ISBN 9788861920347)
LA TRAMA
L’azione si svolge in una città assediata, che potrebbe ricordare una situazione mediorientale (in particolare la guerra israelo-palestinese) ma che, volutamente, l’autore priva di ogni preciso riferimento geografico.
Nel dramma si narra di una famiglia il cui palazzo è al centro di drammatiche operazioni belliche, all’interno della quale si sviluppano complessi meccanismi psicologici.
Un’isola di normalità all’interno della macelleria della guerra, che però non salverà i suoi abitanti, autentici naufraghi di esistenze “normali” ormai polverizzate da tragici e irreversibili eventi.
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LA VALUTAZIONE DEL TESTO.
Suggestivo, coinvolgente e serrato.
Molteplici i temi trattati dall’Autore, qui di seguito provo a riassumere quelli che più hanno suscitato il mio interesse e le mie riflessioni.
La fuga da una realtà disumana e violenta, come quella di un devastante conflitto, può coincidere con un tenace rifugio nelle sensazioni enei ricordi personali e nel privato familiare. Si tratta, però, di un rimedio che, come un farmaco, si può rivelare medicamento se assunto nelle giuste dosi o droga se somministrato oltre una certa misura. Una dipendenza come quella alcoolica, simboleggiata dal desideri smodato di Arak e, più volte, manifesta il capo famiglia.
Se l’approccio alla religione, è acritico e intransigente, inevitabilmente, prima o poi, si scivola nella perdita di ogni altro aggancio alla morale e all’etica. È il caso di Amin (il figlio) che, nel furore integralista, gode di avere ucciso un soldato, arriva persino a stuprare l’indifesa vicina Imen.
Altrettanto pericoloso, però, può rivelarsi ammantarsi di cinismo, interrompendo ogni empatia con l’ambiente circostante. È il caso del padre Yad e di sua moglie Alia, le cui acide battute («Trent’anni d’amore, non sono più amore, sono pubblica amministrazione» «Un dio che si mette a proibire l’alcool non è un buon dio, è un rompiscatole» (lui) «Ho visto troppi morti per avere pietà; la cosa più importante è saper fare bene il caffè» (lei) facciano più male a chi le pronuncia che a chi le ascolta.
I deboli sono destinati a soccombere. È il caso di Imen, vittima predestinata della violenza del mondo ma anche, soprattutto, delle proprie insicurezze. Una che ha chiamato il gatto Gesù, e non è un caso, perché l’animale è l’unico che non si approfitta di lei, perché può essere rassicurante avere sempre a disposizione un piccolo idolo peloso, una comoda coperta di Linus vivente, in mancanza dell’Onnipotente.
I servi del Potere sono pedine senza valore, intercambiabili, sacrificabili, e, non appena cominciano davvero a pensare, sono destinati a perire. È il caso del soldato Ian, forte solo della confortante schematicità delle procedure e dei regolamenti in cui l’ha incasellato lesercito, sorpreso da un’improvvisa, appena disegnata consapevolezza di sé, una distrazione sufficiente a condurlo all’annientamento.
Uniche note pleonastiche, a mio avviso, due lunghi soliloqui (prima di Yad, poi di Imen). Scritti in bella calligrafia, sì, pieni di simbolismi, di evocazioni e di immagini, certamente, ma che risultano peraltro dissonanti dalla scarna narrazione di lucido e razionalissimo straniamento che caratterizza e scandisce una costruzione drammatica per il resto avvincente ed eccellente. Ammiccano allo spettatore, seducenti, ma inevitabilmente lo distolgono al fluire degli eventi, rallentando il ritmo serrato che, di «Terra santa», costituisce il pregio maggiore.
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LA LETTURA SCENICA
Di assoluta eccellenza l’interpretazione di attori che hanno dimostrato di avere interiorizzato e decodificato al meglio le caratteristiche dei personaggi che sono stati chiamati a interpretare: bravissimi Paolo Bessegato, Beatrice Faedi, Monica Ceccardi, Massimiliano Mastroeni, Andrea Tonin, con Silvia Quarantini impegnata a legare e a sottolineare con essenziali, direi spartani, ma efficacissimi effetti sonori la lettura collettiva.
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L’ESPERIMENTO
Quella che si viene a creare è un’atmosfera del tutto nuova e differente anche per uno come me che frequenta da anni teatri di ogni dove. Ci si trova lì, nell’antica chiesa-auditorum-teatro, a essere trascinati in qualcosa che non è dramma, ma ci somiglia molto. A farsi catturare e trascinare ella narrazione come uno straccio impigliato in un ingranaggio industriale. A chiedersi, alla fine dei conti, non senza una certa perplessità: «Cosa manca a tutto ciò, per essere compiutamente teatro?»
Già. Cosa manca?
La scenografia? No, perché lo scenografo più bravo e capace di coinvolgere e creare suggestioni, è quello che lavora nella mente dello spettatore.
I costumi? No, perché la stessa considerazione appena fatta male anche per il più abile costumi.
I movimenti? No, non mancano neanche questi: tutti i presenti al San Carlino li distinguevano, chiaramente, nella volta trattenuta a stento da parte del degli attori-lettori che si mette si pagano con grande efficacia nelle situazioni e nei personaggi creati da Kacimi.
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Applausi a scena aperta (sempre che ci fosse stata, una scena), ancora più preziosi visto che quello che gremiva il San Carlino ieri pomeriggio era un pubblico qualificato formato per la grandissima maggioranza da intenditori o da appassionati amanti del teatro.
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GuittoMatto