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Dell’opera di Giuseppe Raspanti «Il treno di Ignazio» si era già occupato su questo blog, nella rubrica Ex Libris, l’amico conosciuto come Il Lettore.
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Per la recensione vi rimando dunque a questo articolo:
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Dopo un saluto al numeroso pubblico accorso in Vicolo delle Stelle, Massimo Tedeschi (da un anno Presidente Associazione Artisti Bresciani. Ospite dell’evento) tratteggia con sintetiche pennellate (non trovo termine migliore, considerata la location) alcuni aspetti del libro presentato.
«L’Autore, come il protagonista Ignazio, si rivela condottiero di eserciti di ricordi, capace di evocare immagini attraverso le parole» è l’esordio.
«Restano impressi nella mia mente e nella mia immaginazione il simbolico, ineluttabile ripetersi della torrida cont’rora estiva, accesa dallo scirocco, quelle “minacce travestite da consigli”, una filosofia vita intessuta di rancori e cose da aggiustare».
E, tra tutto il resto, i bambini che venivano portati a veder passare i treni in attesa di salire sul treno che avrebbe cambiato le loro vite, la persistente presenza invasiva dei morti nelle case e nelle esistenze dei vivi.
«In qualche modo L’Autore, che molto si è impegnato nel mettere così mirabilmente le parole giuste, faticherà a staccarsi dal libro e dal suo alter ego Ignazio» dice il giornalista ed editore Tino Bino.
«Si arriva alla fine dei suoi racconti realizzando che in quel che si è letto, oltre che ciò che si è capito, c’è molto ancora da capire» aggiunge, passando in rassegna alcuni tra i più grandi narratori moderni anglosassoni, come Salinger e la Rowling.
«In questo libro, si riconosce una singolare scoperta e la valorizzazione della fragilità che, paradossalmente diventa un valore forte» è l’arguta conclusione.
«Io non vorrei mai congedare ciò che sto scrivendo, e non lo lascerei andare, se non ci fosse un editore impaziente di strapparmelo» conferma Raspanti.
«E questo libro in particolare è inquieto, liquido, simile a quella torrida e afosa contr’ora che ha citato all’inizio Tedeschi. Un intervallo di tempo in cui altro non si può fare se non un nulla… pieno di straordinari contenuti».
A scandire l’evento le letture scelte, di cui si fa carico la voce profonda e ben modulata di Bruno Noris.
Qui, però, finisce solo la prima metà di questo articolo.
Perché resta ancora da riferire della splendida “personale” del Maestro Carlo Pescatore, i cui straordinari quadri erano esposti sulle pareti della sala.
Nato a Brescia nel 1932, insegna Tecnica dell’incisione calcografica all’Accademia di Belle Arti di Santa Giulia. La sua pittura è caratterizzata da cicli all’interno dei quali viene sviluppato il tema della ricerca figurativa, non disgiunta da ricerche formali collegati a movimenti artistici e alle esperienze della modernità e della contemporaneità.
Nell’opuscolo di presentazione della mostra intitolata “Furtivi sguardi su dipinte tele”, arricchito da un racconto scritto dallo stesso artista e tratto dalla raccolta “È tutta colpa di Modì” (Serra Tarantola 2014), Massimo Tedeschi scrive:
«… Pescatori è, tra le molte cose, una delle memorie più lucide del Novecento artistico bresciano: un figlio d’arte, visto che il papà Mario è stato –nella propria epoca- il più grande restauratore di affreschi nella Provincia»
Insomma un riuscitissimo connubio tra pittura e letteratura, in un ambiente elegante quanto accogliente. Spero che a Brescia, come altrove, se ne ripetano tanti così.
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Bonera.2