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Il Teatro mantiene giovani e… stravolge le regole della matematica.
Solo così, infatti, è possibile spiegare il paradosso di uno come Massimo Pedrotti, attore, che si mantiene perennemente entusiasta e scattante come un ventenne, pur recitando ormai da cinquant’anni.
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Nel tentativo di comprendere quale “sortilegio” sia alle origini di questo strano fenomeno, l’ho intervistato, e ciò che ne è venuto fuori, come avrete modo di leggere nel resoconto che segue del nostro colloquio, è solo ed esclusivamente che amare il Teatro non solo allunga la vita, ma (cosa ancora più singolare e interessante) permette di rimanere giovani assai a lungo.
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Massimo Pedrotti calca da parecchi anni le assi del palcoscenico. Vuoi raccontarci sinteticamente le tue principali esperienze?
Beh, effettivamente fanno più o meno cinquant’anni, quindi raccontarli sinteticamente non è molto semplice. Diciamo che ho cominciato quando ero quattordicenne, sotto la regia di Cesare Zanetti, il mio papà artistico: la pièce s’intitolava «L’oro matto» di Silvio Giovanninetti, quello è stato il mio debutto, dopo di che attraverso gli anni, l’esperienza con il “GAL Gruppo Artistico Lumezzanese”, poi un breve escursus con il “CUT Centro Universitario Teatrale La Stanza” e «L’uomo dal fiore in bocca» di L.Pirandello. Il mio ritorno al “GAL”, sempre con la regia magistrale di Cesare, e di nuovo Pirandello con «Sei personaggi in cerca d’autore», Diego Fabbri: «Processo a Gesù» che contò una trentina di repliche per poi arrivare a Beckett con «Aspettando Godot», dove interpretavo Vladimiro, che venne replicato anche alla “Loggetta”. Dopo un periodo di “riposo” in occasione della nascita delle radio libere a cui ho partecipato attivamente, sempre con la regia di Cesare ho portato in scena «Il diario di Adamo & Eva», un libero adattamento di due racconti di M.Twain scritto da me; purtroppo, durante le repliche di questo lavoro, Cesare Zanetti venne a mancare lasciando un grande vuoto. Dopo un momento di sbandamento il “GAL” riprese poi, fortunatamente, a portare in scena altre opere fra le quali mi piace ricordare «Harvey» di Mary Chase nella quale interpretavo la parte che sul grande schermo fu di James Stewart. Abbandonato il “GAL” per divergenze di carattere artistico ho iniziato una nuova avventura con la Compagnia “Erminevo” con cui sto portando in scena «Un ora di tranquillità» e con altre compagnie fra le quali mi piace ricordare la compagnia di Gianni Calabrese con «Cena tra amici» di M. Delaporte e A.de la Patellière con Luisa Cacciola,Annamaria Perini, Gianni Calabrese e Valerio Busseni.
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Commedia o dramma? Se dovessi scegliere un solo genere, cosa faresti? E perché?
Commedia e dramma hanno entrambi il loro fascino interpretativo. La Commedia mi piace soprattutto quando si sorride, non mi piace certamente la commedia ridanciana. Il Dramma, soprattutto se ben costruito e ben narrato è in testa alle mie preferenze, lo sento più vicino alle mie corde. Anche il Teatro della Parola, alla Paolini, per intenderci, è sicuramente fra i miei preferiti.
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Vittorio Gassman, Giorgio Albertazzi, Carmelo Bene, Dario Fo o Gigi Proietti?
“I cinque mostri sacri – cinque“ del teatro italiano… mi piacerebbe assomigliare un poco ad ognuno di loro, anche se, a mio parere, in tutti loro c’è un difetto che è quello di fagocitare il personaggio, mentre il personaggio, sempre a mio modestissimo avviso, dovrebbe essere servito in toto svestendosi della propria personalità ed utilizzando se stessi solo come strumento per portarlo in scena.
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Si dice: «Molto meglio un rimorso che un rimpianto»… a costo di sembrarti indiscreto ti chiedo (limitandomi alla tua storia di attore) di ricordarmi un episodio sia della prima che della seconda specie.
Rimorsi no, nessuno. Rimpianto forse quello, inevitabile per la mia generazione, di non essere andato a Milano a studiare recitazione: era l’unica possibilità per progredire, non c’erano alternative come invece ora, quando solo a Brescia, solo per fare un esempio, ci sono almeno una decina di scuole di Teatro di buono e medio livello. Se non ho potuto studiare la tecnica nelle sedi competenti, la colpa è solo mia in quanto la mia famiglia non mi aveva precluso questa possibilità. Se il sentimento c’è, il talento non sta a me giudicarlo, non avere affinato fino in fondo la tecnica, resta l’unico, grande rimpianto.
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Cosa rappresenta “recitare” nella tua vita di tutti i giorni?
Questa è indubbiamente una bella domanda e merita una risposta meditata e sentita, anche se coincisa: “recitare” è la parte più importante della mia vita personale. “Recitare” è la mia psicoterapia personale, è quello che mi permette di scaricare le tensioni quotidiane, di essere Dottor Jeckill e Mr. Hyde, insomma di essere quello che non sono nella vita di tutti i giorni, ma che è latente dentro di me.
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Se dovessi suggerire a un giovane che solo adesso comincia a intraprendere la via dello spettacolo, anche sulla base delle tue esperienze personali, quali sarebbero i primi consigli che ti sentiresti di rivolgergli? Quali errori lo inviteresti a non ripetere?
Visto che quando ho iniziato io l’unica soluzione per avere una preparazione tecnica era andare a Milano, posso solo consigliare di cercare di prepararsi tecnicamente e di studiare moltissimo dalla dizione, alle tecniche di recitazione, alla mimica che se unite al talento possono dare i risultati desiderati. Consiglierei di non lasciarsi affascinare da proposte troppo esaltanti, ma di verificare che ci sia qualcosa oltre e non solo promesse, ma, nello stesso tempo, non lasciarsi sfuggire le occasioni, insomma fare affidamento un po’ al cosiddetto fattore “c“.
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Cosa c’è nel prossimo futuro artistico di Massimo Pedrotti?
Per il futuro ho in cantiere delle riprese di lavori fatti sia con la Compagnia Erminevo sia con il “Collettivo Zazie“ di Biagio Vinella. Ma soprattutto il lavoro che stiamo preparando con l’amico regista Mario Mirelli e la bravissima Chiara Pizzatti, lavoro scritto dall’amico Patrizio Pacioni romanaccio verace, ma bresciano d’adozione, vincitore di molti premi letterari anche in campo teatrale: un dramma imperniato su di un tragico fatto avvenuto trentasei anni or sono in provincia e precisamente a Rivoltella del Garda. È un lavoro, a mio giudizio, scritto molto bene e che potrà avere grande presa sul pubblico, sperando di essere all’altezza per rendere tutte le sfumature richieste dal personaggio. Se poi i lettori che hanno avuto la bontà di leggere questa intervista fino qui ne vogliono sapere di più… l’appuntamento è in Teatro.
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Ecco, mi piace chiudere così, con l’immagine suggestiva di Massimo Pedrotti, che in «Marzia e il Salumiere» interpreterà il personaggio più inquietante, ripreso accanto al drammaturgo che ne è l’autore, Patrizio Pacioni.
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GuittoMatto