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Lia Pironi da Gavardo è un’attrice sensibile, fantasiosa, indipendente e anticonformista (“Non mi avrete mai come volete voi” è il significativo motto che campeggia sulla pagina di uno dei principali profili social). Appassionata di teatro fin dalla più tenera età, a soli ventidue anni ha già alle spalle (e davanti a sé, come vedremo) un congruo numero di ben differenziate esperienze artistiche. Nel corso dell’appena trascorsa estate è entrata a fare parte del cast di «Christine e Léa – Le serve», la drammaturgia di Patrizio Pacioni di cui già abbiamo avuto occasione di occuparci più volte su queste stesse pagine e di cui continueremo a occuparci in modo ancora più diffuso da qui al debutto previsto per il prossimo 27 novembre al Teatro Sant’Afra di Brescia.
Questo è tutto, per il momento. Dopo che avrete letto l’intervista che segue, però, sono certo che avrete l’occasione e il piacere di conoscere Lia ancora più da vicino… e vi rimarrà la grande curiosità di vederla al più presto in azione sul palcoscenico.
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È mia abitudine e mi sembra cosa buona e giusta cominciare dall’inizio. Puoi raccontarci di quando, come e perché cominciasti ad avvicinarti alla pratica della recitazione?
La prima volta che m’interessai concretamente al teatro fu quando avevo appena tredici anni. Inizialmente non si trattò di un approccio pratico, bensì da osservatrice: mia madre, Emanuela Esquilli, fotografa ed ex musicista, nel 2012 compose le musiche dello spettacolo teatrale «I monologhi della Vagina» tratto dal libro di Eve Ensler, organizzato da “Filorosso teatro” e andato in scena al teatro S. Giulia di Brescia nel medesimo anno. Lei mi portava con sé alle prove, dandomi occasione di scoprire cosa significasse recitare e, in particolare, interpretare un monologo. La fusione del tragico e del comico di quei preziosi monologhi mi stregò al punto di non farmi mai mancare l’occasione di assistere a una prova. Ero estremamente affascinata da quel gruppo di donne che insieme creavano un’energia meravigliosa.
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E poi?
Nel 2015, poi, la stessa compagnia, “Filorosso Teatro” di Brescia organizzò uno spettacolo di prevenzione alle droghe per cui serviva un attore giovane e, notando la mia curiosità, pensarono di coinvolgermi. Spinta da mia madre e invitata da Francesca Romanò, fondatrice della compagnia mi lanciai, abbracciando il teatro direttamente sul campo o, per meglio dire… sul palcoscenico!
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Dopo aver preso cognizione della iniziazione alle scene, sarebbe ora interessante conoscere le tue preferenza tra le tipologie diverse di scrittura drammaturgica e, conseguentemente, anche di recitazione.
Le parti drammatiche mi piacciono e, a quanto sembra, mi riescono anche piuttosto bene. Sono sempre stata molto emotiva e sensibile, e mi basta poco per scoppiare a piangere, perciò riesco a vestire meglio ruoli tragici, ma forse si tratta solo di un mio personalissimo pensiero. Ora che ci penso, però, in realtà la maggior parte dei ruoli che ho avuto non sono stati drammatici. Nel mio primo spettacolo (che conteneva anche situazioni permeate d’ironia, se non dichiaratamente comiche) il personaggio che fui chiamata a interpretare era quello una ragazza tossicodipendente. Ricordo che mi preparai prendendo spunto dal personaggio di Christiane F. in «Noi ragazzi dello zoo di Berlino» e di quanto fu eccitante calarmi nei suoi panni, anche perchè sapevo che avrei avuto un pubblico di coetanei e la cosa, soprattutto al termine dello spettacolo, mi fece sentire piena di entusiasmo ed energia. Stavo attraversando un periodo difficile, allora: avevo compiuto da poco quindici anni e i miei genitori si stavano separando. In quel momento, l’esperienza costituì per me una distrazione attraverso la pratica di un hobby che si stava velocemente trasformando in una intensa quanto irrefrenabile passione.
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E, a quel punto, immagino che tu non potessi (e soprattutto non volessi) più tornare indietro…
Infatti. Due anni più tardi, sempre con “Filorosso Teatro”, con il monologo «Guardami, ascoltami, parlami» mi trovai ad affrontare il delicato tema della disabilità, a me già caro, avendo un cugino di undici anni che non riesce a deambulare. Dunque presi molto a cuore quel monologo e tutto lo spettacolo dall’omonimo titolo. Fu in questa occasione che imparai cosa significa metterci davvero il cuore. L’esperienza seguente fu allorché, da diciottenne, affrontai in «Lascia che la vita ti spettini» un personaggio che mi somigliava molto: una ragazza adolescente che si viene a trovarsi tra due personaggi che le danno lezioni di vita. Una dalla personalità più classica e impostata, l’altra più libera e sognatrice. Il mio personaggio si interrogava e ragionava in base ai loro consigli e ai monologhi con cui intervenivano ulteriori soggetti in scena. Posso dire che ogni parte che ho interpretato, ogni monologo, mi ha aiutata a scoprire qualcosa di me stessa e a capirmi.
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Ecco, appunto: a proposito di monologhi, a quanto mi risulta, il meglio deve ancora venire.
Con “Sineddoche Teatro Laboratorio”, dopo qualche anno di sospensione delle mie attività teatrali, affrontai un nuovo percorso. Preparammo uno spettacolo composto da monologhi di stand up comedy scritti da Gloria Calderón Kellett, una scrittrice e attrice americana, in cui io interpretai “La dea”e “La reginetta di bellezza”. A tutt’oggi, lo confesso, restano i personaggi che mi hanno divertita di più. Era un genere nuovo per me, utile a farmi capire (a dispetto -o a fianco!- di quanto ho detto prima, circa la mia predilezione per il drammatico) che amo molto anche fare ridere le persone, e che mi piacerebbe avere più ruoli comici nel futuro.
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Veniamo finalmente a Christine e Léa. La parte che ti trovi a ricoprire (quello di Léa Papin, una delle sorelle assassine di Le Mans) è oltremodo complessa e impegnativa, dunque difficile da interpretare. Cosa hai trovato nel testo di Pacioni per convincerti ad accettare questa sfida?
Cominciamo con il dire che Léa, al pari degli altri personaggi del dramma, è una eccezionale figura tragica che Pacioni scolpisce a tutto tondo. Ho iniziato il lavoro su di lei cercando di capire chi fosse stata e cosa e come abbia vissuto, e una volta che mi sono fatta un’idea ho iniziato a vestire i suoi panni, a immaginare più profondamente possibile le emozioni che provasse in ogni battuta e nelle situazioni che verranno messe in scena. Non è stato immediato, perché Léa ha un carattere inizialmente piuttosto fragile e remissivo. Non si ribellerebbe mai, sopporterebbe la fatica e gli stenti senza mai alzare la testa se non fosse per sua sorella Christine. La realtà del rapporto che le lega, viscerale e indissolubile emerge infatti molto con il progredire della narrazione, risultando, alla fine, di eccezionale importanza ai fini di una piena comporensione dell’opera. Io sono molto diversa da Léa, ma sono riuscita ad entrare nel personaggio, anche se fino all’anteprima, fissata per il prossimo 27 novembre a Brescia, c’è ancora molto lavoro da fare (e altro ce ne sarà anche dopo il debutto, immagino)
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Presumo che essere chiamata a entrare nel cast di «Christine e Léa – Le serve»per te sia stato un po’ come salire su un treno lanciato ad alta velocità. Puoi parlarci di come ti sei trovata con Katiuscia Armanni (che con l’aiuto di Giuseppina Vivolo si occupa della regia) e di come sei venuta a trovarti con gli altri attori (Stefano Comini, Paola Danieli, Federica Foresti ed Erika Vespale) che stavano lavorando insieme già da tempo?
Katiuscia si è subito dimostrata molto disponibile nei miei confronti; sono rimasta molto colpita di come la travolgente passione che nutre per il teatro sia emersa fin dai primi momenti trascorsi insieme. Sa essere molto coinvolgente e magnetica e parlare con grande dolcezza, ma quando le circostanze lo richiedono… beh, allora può diventare esigente e severa, e questo mi piace. Anche la compagnia mi ha accolta senza alcun pregiudizio, facendomi sentire subito a casa e parte del gruppo. Con Federica in particolare abbiamo trovato subito una bellissima alchimia perciò non posso negare che mi sto trovando bene! Mi auguro che questa collaborazione possa avere un futuro e che potremo sviluppare altri progetti insieme perché sento lo scorrere di una notevole energia.
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Quali sono i tuoi autori preferiti?
Ho sempre apprezzato il grandissimo Luigi Pirandello per la tematica dell’identità su cui si concentra e che mi ha sempre incuriosita. Le sue teorie sulla pluralità dell’ io, per fare un esempio, hanno sempre suscitato in me profonde riflessioni. E poi si è sempre occupato di teatro, per cui, con una come me, ha sfondato una porta aperta! Un altro autore (e attore) che mi è caro è Marco Paolini, che ammiro molto per la sua capacità di coinvolgere il pubblico nei suoi monologhi. Per non parlare della mia diletta Lucilla Giagnoni, naturalmente.
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E per quanto riguarda gli attori che più t’interessano e ti ispirano?
Come figura artistica e performer ho sempre ammirato David Bowie che, anche se da autentica rockstar è più noto in ambito musicale, come attore dispone di una presenza ipnotica incredibile; riconosco in lui una personalità che mi attrae moltissimo. Altri attori cinematografici che amo particolare, sono Eva Green, Maryl Streep, Jared Leto e Klaus Kinski.
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Arrivati a questo punto, cioè in vista della conclusione dell’articolo, c’è una domanda che non può assolutamente mancare in una intervista che voglia definirsi tale: cosa c’è nel futuro di Lia Pironi?
La (felice) frequenza studentesca del liceo artistico Nani Boccioni di Verona mi ha aiutata a scoprire e coltivare in me altri interessi e altre passioni. Prima di tutto ho portato avanti quel certo trasporto, derivato probabilmente anche dalla mia storia familiare, nei confronti della fotografia; dopo di che, grazie all’indirizzo formativo scelto in terza, ovvero il “multimediale”, ho capito che ero molto attratta dal cinema. Mi si è aperto un nuovo mondo che mi ha anche messa in difficoltà, perché trovarmi ad applicare a tante diverse discipline, in certi momenti, a tratti, è risultato persino disorientante. Fatto sta che sto approfondendo tutt’ora la mia preparazione specifica alla LABA di Brescia, attraverso il corso di “scenografia – indirizzo cinema”. Ho sempre osservato con grandissima curiosità e attenzione la recitazione degli attori cinematografici, restando affascinata dai personaggi, dalle storie, dal mondo che ruota attorno al cast; ora, grazie appunto anche alla frequentazione dell’Accademia, sto sperimentando cosa significa stare dietro alla macchina da presa. Devo ammettere, però, che la tentazione di starci davanti è sempre altissima, come dimostra l’impegno che sto profondendo nella preparazione dell’interpretazione di Léa.
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Per concludere? Attenta a quel che dici, perché l’ultima domanda e la relativa risposta sono quelle che lasciano il segno più significativo in chi legge…
Per concludere, posso dire che avere tanti interessi artistici, alla fine, rende la mia vita più avventurosa e piena di emozioni. Mi piacerebbe nel futuro approfondire la recitazione cinematografica, chi lo sa, magari diventare una brava interprete anche nel mondo della celluloide. Riuscire a fare coincidere una forte passione con una professione è un piccolo grande sogno. (sorride – strizza l’occhio) Okay, forse molto grande, altro che piccolo!
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