.
«Quanto siete belli! Sembrate petali di tulipani su un prato» è il saluto affettuoso che Lucilla Giagnoni riserva agli spettatori riuniti all’interno del chiostro illeggiadrito da un verde tappeto di fili d’erba per assistere a «Terra. Una carta dei diritti»
.
.
.
.
«Con la distribuzine del pubblico imposta dalla necessità di “distanziamento” l’approccio è diverso: senza la contiguità che normalmente regna in platea, ogni spettatore si trasforma in un’isola, e come tale fruisce dello spettacolo cui si trova ad assistere» aggiunge subito dopo, non essendo possibile ignorare le conseguenze portate dall’accanirsi della pandemia, da poco placato.
.
.
«A partire da “Terra d’acqua“, il primo spettacolo che ho scritto, parlando delle risaie della mia regione nativa, fino a “Magnificat” , la Terra ha rappresentato un autentico fil rouge della mia attività creativa e artistica» spiega ancora, entrando nel merito dello spettacolo della serata.
«Lo spunto da cui parto è la Carta dei Diritti della Terra, scritta e approvata dalle Nazioni Unite circa venti anni orsono» è l’ultima premessa che precede l’inizio del monologo.
Dopo di che parole ed emozioni, citazioni e accorati inviti all’equilibrio e al rispetto della Natura si sviluppano e si succedono con la fluidità e il calore consueti nelle opere di Lucilla.
Appelli, carte dei diritti (e dei doveri, anche se con questi ultimi gli esseri umani sembrano essere molto più duri d’orecchi), appelli disperati, dichiarazioni appassionate di amore eterno e incondizionato, convegni, trattati internazionali, impegni solenni… eppure tutti quanti, chi più chi meno, continuano a maltrattarla, a metterla sottoi piedi (ma non nel senso di ciò che non si può a meno di fare a causa della forza di gravità).
La Terra ormai è messa all’angolo, ma se alla fine andrà KO non ci sarà nessun vincitore.
Lucilla non se ne dà pace e continua a portare in Teatro il suo anelito per una gestione più responsabile delle (non) infinite risorse della Grande Madre. Fiduciosa, malgrado i molteplici flagelli che sempre più spesso e in modo sempre più violento si abbattono sul nostro Pianeta-casa (in un dolorosissimo rosario di terremoti, tsunami, sversamenti di petrolio, polluzioni nucleari, inondazioni e siccità sempre più devastanti, per arrivare -non a caso- nella recente terribile pandemia), questa volta attinge a tre figure gigantesche, tra mito e storia: Edipo, Antigone e San Francesco.
.
.
«Cosa aspetti, ancora, Uomo?» è il vibrante e accorato appello di Lucilla.
«Ricordati che non possiedi la Terra, ma alla Terra appartieni!»
.
.
Applausi finali convinti, lunghi e ripetuti. Ma questa non è certo una sorpresa.
Con musiche e suoni curati da Paolo Pizzimenti e luci affidate a Bianca Pizzimenti, l’ormai bresciana per frequentazione artistica e consensi mietuti Lucilla Giagnoni sarà di scena ancora domani sera alle 21,30.
.
.
GuittoMatto