Non solo Montalbano, se l’obiettivo è la metamorfosi

Camilleri che non ti aspetti.

Ne «Il casellante», andato in scena al Teatro Sociale di Brescia, di Montalbano non c’è nemmeno l’ombra, ma c’è molto, molto altro.

Parliamo intanto del libro: Il casellante è un romanzo di Andrea Camilleri pubblicato nel giugno  2008 da Sellerio. L’opera di mezzo tra Maruzza Musumeci e Il sonaglio, il tutto incluso nel libro-raccolta di cui si è inserita la copertina.

Narrazioni di surreali metamorfosi, nelle quali si riprende il mito greco, per calarlo nella realtà siciliana.

Il casellante, in particolare, è un’opera di grande valore, capace di cogliere e sollecitare nel lettore sia la corda comica che quella tragica ed emotiva. Scritta in vigatese, vale a dire in quella lingua artificiale creata dallo stesso Camilleri, con la quale l’autore siciliano cerca di operare una bizzarra ma efficace mediazione tra la lingua italiana e il siciliano, la storia tocca diersi argomenti di grande delicatezza e importanza, quali l’amore, la violenza esercitata contro la donna, un certo tipo di bullismo ante litteram, la negazione della maternità (etc.) risultando divertente e commovente.

E scusate se è poco.

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È da questo romanzo che prende le mosse lo spettacolo teatrale (in pieno accordo con lo stesso Camilleri) con l’adattamento scenico di Giuseppe Dipasquale, responsabile anche della regia e delle scene.

Al centro di tutto un casello ferroviario e un negozio da barbiere. Una vita che si dipana tranquilla, al limite della monotonia, o almeno così sembra. In realtà il Male è presente anche a Vigata e scorre sempe meno in profondità, fino ad affiorare come un liquame letale.

E, come sempre, saranno i più umili semplici e indifesi a pagare per tutti, e l’unica via di scampo, per alcuni di loro, sarà l’evasione nell’irrealtà della fantasia.

Soffermandomi il tempo strettamente necessario sulla magistrale performance di un incontenibile Moni Ovadia (interprete di sei personaggi della pièce) nel quadro di un lavoro collettivo di altissimi livello medio, ricordo tra tutti l’ispirato Mario Incudine nei panni del moralmente eroico casellante Ninuzzo e la straordinaria Valeria Contadino che impersona, perfetta in ogni sfumatura, la quotidianità, l’ottimismo solare e poi, la straniata disperazione di Minica, sua moglie.

Un affresco di un sud cristallizzato nel tempo e nello spazio, un mondo magmatico e ostile in cui i più deboli devono ricorrere a ogni risorsa per resitere alla tracotanza di diverse categorie di potere, sviluppando una furbizia popolare che, in qualche caso, riesce a garantire una sopravvivenza.

Uno spettacolo in cui non mancano spunti comici irresisitibili (la vendicativa serenata all’avversario appena tornato dal viaggio di nozze) ma che è sapentemente guidato sia dall’autore del testo che dall’accorto sceneggiatore, verso un finale di struggente e romantica disperazione.

In questo quadro, perfettamente congrui risultano i suggestivi inserti musicali che ben s’intarsiano nel tessuto drammaturgico, perfettamente eseguiti da attori che si rivelano anche ottimi cantanti e musicisti.

Da otto in pagella anche le fantasiose sceneggiature archeo-tecniche e gli accattivanti costumi di Elisa Savi.

di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale
regia Giuseppe Dipasquale
scene Giuseppe Dipasquale
costumi Elisa Savi
luci Gianni Grasso
musiche originali Mario Incudine con la collaborazione di Antonio Vasta
con Moni Ovadia, Valeria Contadino, Mario Incudine, Sergio Seminara, Giampaolo Romania
e con i musicisti Antonio Vasta, Antonio Putzu
la canzone “La capra avi li corna” è di Antonio Vasta
produzione Promo Music – Corvino Produzioni, Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano, Comune di Caltanissetta

 

   GuittoMatto