Lella Costa incanta e commuove Brescia

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Lella Costa conosce come pochi altri la magia  del palcoscenico

Parlo di quella specie d’incantamento attraverso il quale un attore (in questo caso un’attrice) riesce sin dalla sua comparsa in palcoscenico a catturare l’attenzione del pubblico e a non mollarla più finché non finisce lo spettacolo. Coinvolgendo, intrigando, indignano e commovendo gli spettatori, senza dimenticare mai di farli sorridere.

«La parola giusta» (vds. il precedente articolo di Bonera.2  nella rubrica Goodmorning Brescia https://cardona.patriziopacioni.com/goodmorning-brescia-168-una_memoria_preziosa/) il monologo scritto da Marco Archetti per la regia di Gabriele Vacis, ricordi e riflessioni sulle due stragi che dilaniarono a cinque anni di distanza prima Milano e poi Brescia, sembra fatto su misura per esaltare le qualità dell’artista milanese: un suggestivo e colorito patchwork, più che un affresco, scandito dal boato delle bombe (che poi sono solo manifestazioni diverse di quella stessa bomba che venne utilizzata per ogni attentato negli anni bui del piombo e delle stragi) e strutturato sul percorso di un amore sfortunato, pulito, trasparente ma non abbastanza solido (nessun amore potrebbe esserlo) per resistere anche all’esplosiva strage del tritolo e agli indicibili e ignobili intrighi che lo innescarono.

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Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è CTB6.jpg L’affollatissimo Foyer del Teatro Sociale prima dell’inizio dello spettacolo

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Il primo viaggio sulla Luna, il sogno spezzato del Cile di Allende, il movimento hippy,  Jimi Hendrix e la nascita della nuova consapevolezza femminista e delle lotte per i diritti e l’uguaglianza delle donne servono egregiamente a trasportare i presenti nell’atmosfera di quegli anni straordinari, nel bene e nel male.

I giovani Daniela e Antonio sperimentano sulla propria pelle la forza devastante dell’eversione e dei complotti di stato in piazza Fontana, il 12 dicembre del 1969, poi si perdono, per ritrovarsi da attoniti osservatori da lontano (ma non troppo), avendo già imboccato diversi e divergenti percorsi di vita, in occasione della strage di Piazza della Loggia

Di grande efficacia la scenofonia “povera” di Roberto Tarasco, con la riuscita di quegli ombrelli calati dall’alto (veniva giù acqua a dirotto, il 28 maggio 1974) capaci di riparare dalla pioggia ma non dal diluvio di lacrime e dolore che si riversò sul Paese in quegli anni terribili.

Il primo viaggio sulla Luna, il sogno spezzato del Cile di Allende, il movimento hippy, Jimi Endrix e la nascita della consapevolezza e della lotta femminista per i diritti della donna servono egregiamente a trasportare i presenti nell’atmosfera di quegli anni straordinari, nel bene e nel male.

Alla guisa dei maestri vasai dell’antica Cina, che usavano screziare i loro ineguagliabili vasi con un passaggio dell’unghia, perché la loro perfezione non  suscitasse l’invidia degli dei, consentitemi di dissentire su un passaggio dello spettacolo, ovvero su quel passaggio tra la narrazione “milanese” e quella “bresciana” in cui si cede alla tentazione di un ragionamento educativo di cui, francamente, non si manifestava alcuna necessità: la suggestione del testo e la mostruosa bravura di Lella Costa, infatti, da soli avevano e hanno facoltà di toccare cuori e menti di tutti gli spettatori: sono sempre stato convinto che il Teatro possa debba esprimersi e risultare vincente con queste sole (invincibili) armi, senza bisogno di ricorrere a postille e spiegazioni aggiuntive.

Un minuscolo granello di polvere sul piano lucido e splendente di un monologo di grandissima intensità, sempre alla ricerca, rispettando il titolo, di quella parola giusta che, a volte, come nel caso dei funerali delle vittime della strage di Brescia, coincide con il silenzio dolente e solenne di duecentomila persone ammutolite dallo sdegno e dalla compassione.

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Un prezioso dono per il pubblico bresciano, accorso numerosissimo. che alla fine ha manifestato il proprio entusiasmo con uno scrosciante e lunghissimo   applauso. 

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GuittoMatto