Attenzione: qui si trattano OVVIETÀ NON PERCEPITE: spunti di riflessione su quegli argomenti che sembrano banali e scontati ma che, per molteplici quanto validissime occasioni, molto spesso non risultano affatto tali.
Il jingle (se vogliamo chiamarlo così) è stato ripreso e recuperato da un vecchissimo cartone animato. Il motivo musicale è stato riarrangiato da ispirati e sagaci parolieri che hanno introdotto in modo ripetitivo poche e sintetiche (ma assai significative) parole:
«Lo scemo non canta più… lo scemo non canta più… lo scemo, lo scemo, lo scemo… lo scemo non canta più!»
L’utilizzo che se ne fa negli stadi di tutta Italia è quello di scandirlo, in modo irridente, da parte dei tifosi della squadra vincente contro quelli del team perdente che (presumo!) siano già abbastanza incazzati per la sconfitta.
Già limitandosi a questo, ne converrete, si tratta di una presa in giro piuttosto malevola, sicuramente non sintomo di bon ton. Dirà qualcuno, però: «Su, è generalmente risaputo che, nel mondo del football, come accade per altri sport, da tempo le cose girano così: è un gioco maschio, anche goliardico, e, dunque, in un certo senso, libero da certi limiti di ordine moralistico e perbenistico. Vogliamo dire pudicizie borghesi?»
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Solo che la faccenda non finisce qui. Altri parolieri, fantasiosi quanto i primi, ma ancora più amati e seguiti dagli ultrà più beceri delle curve, hanno leggermente modificato la filastrocca che è così diventata la seguente:
«Lo scemo non gioca più… lo scemo non gioca più… lo scemo, lo scemo, lo scemo… lo scemo non gioca più!»
Una sola parola cambiata sì, ma soprattutto a essere cambiato è il bersaglio: questa volta i destinatari non sono i fan dell’altra fazione, ma un giocatore avversario che si è fatto male in occasione di un’azione di gioco o, peggio, per un fallaccio subito da uno dei paladini di quelli che cantano in coro lo slogan.
Insomma, ci si rallegra per un infortunio di uno dei nemici, non importa quale, ipoteticamente (anzi, no: preferibilmente) grave o gravissimo, tale da costringerlo a uscire dal campo definitivamente per ricorrere alle cure del caso. E non mi stupirei se, in determinate circostanze, non poissa trovarsi chi tra il pubblico esulterebbe anche in caso di conseguenze più pesanti. Personalmente scommetteri sull’ipotesi contraria.
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Va bene, va bene. va bene: con il trascorre del tempo il mondo si è incattivito, i toni si sono esacerbati, le reazioni sono sempre più di pancia e sempre meno di mente e di cuore, il confronto si è involgarito, abbrutito, in qualche modo corrotto dentro e fuori gli stadi. Anche in politica, tanto per fare un esempio e, a questo proposito…
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«E allora? Le nostre uova? Che cosa ci azzeccano con questa storia?» direbbe un tipo come l’ex magistrato ed ex politico Antonio Di Pietro.
Non è così difficile da spiegare. Come certo sapete, negli scorsi giorni è venuto a mancare un noto politico di cui non facciamo il nome. Semplicemente perché non ce n’è nessun bisogno, visto che la notizia è su giornali, tv e media praticamente ventiquattro ore su ventiquattro.
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Premetto che chi sta scrivendo questo articolo non ha remore a confessare di non essere mai stato un follower dell’illustre defunto e di avere anzi sempre fortemente dubitato delle idee da costui manifestate e propugnate.
Ciò detto, trovo che quanto sta avvenendo in questi giorni, va oltre ogni limite di tollerabilità: sugli spalti si è scatenata la rissa tra i sostenitori del “Santo subito” che vedono nelle gesta del morto un fulgido esempio di ciò che deve dire e fare uno statista di rango, e i denigratori malmostosi a oltranza, quelli invece che proprio non riescono a trattenere la bile accumulata più o meno a buon titolo nel corso degli anni, riducendosi a rigurgitarla anche addosso a un cadavere ancora caldo.
Perché la Morte è una cosa terribilmente seria, e va in ogni caso rispettata. Questa è l’ovvietà non percepita di oggi. Lasciamo che il trascorrere del tempo decanti adorazione e odio, dopo di che, liberi tutti di esprimere le proprie idee non tralasciando però misura e garbo.
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Lo dice meglio lui in poche parole, non è vero? Ma io aggiungo un’altra notissima citazione (ancora più valida ai nostri giorni e nella specifica contingenza) che, a torto o ragione, viene attribuita niente meno che al Padre Dante: «Un bel tacer non fu mai scritto».
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Patrizio Pacioni (*)
(*) Scrittore, drammaturgo e blogger