La piccola bottega degli orrori (The Little Shop of Horrors) è un film del 1960, diretto da Roger Corman ispirato al racconto Green Thoughts scritto da John Collier. l’omonimo musical, invece fu messo in scena per la prima volta nel 1982 e, a sua volta, trasformato in pellicola quattro anni dopo per la regia di Frank Oz.
Gli affari del piccolo negozio di fiori di un quartiere periferico di New York non vanno per niente bene e il proprietario, Mushnick decide che è ora di abbassare per sempre la serranda. A dissuaderlo è il complessato commesso Seymour Krelborn che collabora con lui insieme alla giovane e un po’ svampita Audrey: gli è capitato di comprare in un negozio di cineserie, nel corso di un’eclissi, una strana pianta che, ne è convinto, iuna volta esposta in vetrina non mancherà di attirare nuova clientela.
Ed è proprio così che vanno le cose: in poco tempo, con Audrey 2 in vetrina, il giro di affari della bottega sale alle stelle, attirando anche l’attenzione dei media. Peccato che si tratti di un vegetale (?!) molto ma molto particolare, che per vivere e crescere abbisogna di una particolare alimentazione a base di sangue, preferibilmente umano.
Di qui parte una serie di avvenimenti che vede la nascita di una delicata ma autentica attrazione tra lo sfigato (absit iniuria verbis!) Seymur e la bella Audrey (quella in carne e ossa, non la quasi omonima pianta), che comporta (di necessità virtù) anche l’eliminazione di Scrivello, il ganzo della ragazza, un dentista di tendenze maschiliste e sadiche che la bullizza come e quanto non ci fosse un domani. Il primo pasto da gourmet per Audrey 2.
Cresce la pianta aliena, ma ne crescono anche le pretese. Finché proponne a Seymur un patto scellerato che più scellerato non si può: onore e gloria in cambio di un servizio di ristorazione all’altezza del suo sempre più smisurato appetito.
Ci siamo: è arrivato il punto di non ritorno attraversato il quale si arriva a un finale sorprendente e assolutamente non convenzionale.
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Lo spettacolo:
Un racconto nella sostanza decisamente horror, che figurerebbe con piena dignità tra quelli che composero la lunga e fortunata serie di fumetti «I racconti della cripta» (Tales from the Crypt) creata da William Gaines ed edita dalla EC Comics a cavallo tra gli anni cinquanta e i sessanta. Permeato però da un’ironia accattivante che -incredibile a dirsi- lo trasforma in un’occasione di rilassato divertimento per gli spettatori, anche per i più sensibili di essi.
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Quanto alla lettura che ne fà e ne dà DreaMusical, devo dire che si tratta di un’operazione perfettamente riuscita, a partire dalle scenografie che richiamano (restando ancora ai fumetti) le tavole di Nembo Kid (il Superman di allora) e i colori della consumista America di plastica di Barbie, ma anche le atmosfere retrò del Diabolik delle sorelle Giussani e dei Manetti Bros o, ancora, le location deliziosamente minimal della serie di sceneggiati del Tenente Sheridan (sempre che siate in grado di immaginare il bianco e nero di allora inzuppato da una serie di pastelli colorati).
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Per non parlare della perfetta coralità dello spettacolo, delle accattivanti coreografie portate in scena con un’interpretazione appassionata e brillante dagli attori-cantanti-ballerini sia a livello individuale che di lavoro di squadra.
Voci educate che disinvoltamente interpretano l’orrore come se fosse una serie di passaggi di Grease, divertendo, emozionando, talvolta anche commovendo, ma non tralasciando mai di disseminare, qua e là, preziosi spunti di riflessione.
Come il degrado delle periferie urbane (di cui il disperato e disperante scenario del quartiere Skid Row è la massima e peggiore rappresentazione)
Come il quanto mai attuale e scottante problema del sessismo.
Come, per non farla troppo lunga e finirla qui, l’inquietante interrogativo su quale possa essere la reazione di ciascuno di noi, anche dei più apparentemente onesti di noi, quando si viene posti davanti alla terribile domanda posta al timido garzone Seymour: Che cosa saresti disposto a fare per ottenere quello che hai sempre desiderato?
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Per finire, e giuro che questa volta la finisco qui davvero, domanda e risposta con Stefano Comini a fine spettacolo:
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Che cosa mi dici in generale dello spettacolo e in particolare del rude e arcigno proprietario del negozio da te interpretato?
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Nel corso di questi due anni lo spettacolo è cresciuto di replica in replica. Non che questo sia un fatto straordinario, s’intende: capita abbastanza spesso che le tournées si esauriscono (o s’interrompono per un periodo significativo) proprio nel momento in cui uno spettacolo ha raggiunto la massima qualità. Quanto al personaggio di cui ho indossato i panni, il bieco bottegaio Gravis Mushinik, si tratta di un imbruttito dalla vita, uno di quelli che venderebbe senza starci troppo a pensare la propria madre, se ciò gli portasse adeguati vantaggi. Solo che in lui (ed è questa la particolarità), anche se molto in profondità s’intuisce l’esistenza di un rimasuglio di umanità. Come, all’ora di cena, una goccia di profumo messa sotto le ascelle di primo mattino.
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LIBRETTO – HOWARD ASHMAN
MUSICA – ALAN MENKEN
SEYMOUR – ELIA BAZZANI
AUDREY – ANNA POINELLI
MUSHNIK – STEFANO COMINI
ORIN – JAN TONONI
AUDREY II – DAVIDE MELZANI, ELEONORA FRASSINE
VOCE AUDREY II – DAVIDE BASSOLINI
CRYSTAL – MELISSA DUNI
RONNETTE – CHIARA BIGNETTI
CHIFFON – SOFIA MERIGHETTI
BERSTEIN |MARTIN – LEONARDO ZUGNI
SIGNORA LUCE – JAN TONONI
SNIP – STEFANO COMINI
ENSEMBLE – SARA RUBAGOTTI
REGIA – LUCA SAVANI
DIRETTORE MUSICALE – DAVIDE BASSOLINI
COREOGRAFIE – SIMONA PASQUALI
SCENOGRAFIA E PUPAZZI – FLAVIO CESARETTI, LUCA SAVANI
COSTUMI – FLAVIO CESARETTI, LUCA SAVANI, JAN TONONI
LIGHT DESIGNER – NICOLÒ DAMIANI
SOUND ENGINEER – DAVIDE BASSOLINI
MAKE UP – FLAVIO CESARETTI
FOTO DI SCENA – MAURO NOVAGLIO
VIDEO – IRIS PRODUCTION
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