Il difficile connubio tra Letteratura e Teatro

  

Da Wikipedia:

Enrico De Luca, detto Erri (Napoli, 20 maggio 1950), è un giornalista, scrittore e poeta italiano.

E fin qui, come suol dirsi, non c’è problema..

Subito sotto, nella stessa pagina, viene citato questo suo (profondissimo e bellissimo) pensiero:

« Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca. Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle. Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano. »
(Erri De Luca, Valore, da Opera sull’acqua e altre poesie, Einaudi, Torino, 2002)

Detto questo, non sempre risulta agevole la trasposizione in prosa di un’opera letteraria. Mi spingo, anzi, ancora più in là:  perché questo avvenga è necessaria la concomitanza di diversi fattori, i principali dei quali individuo nei seguenti:

  1. La  “fungibilità teatrale”  del testo letterario;
  2. L’abilità di chi questo testo adatta per la rappresentazione teatrale;
  3. Un equilibrato mix, da parte del regista, di fedeltà al testo, di indipendenza espressiva e di fantasia creativa nella strutturazione delle scene;

Poco fa, al Teatro Pavoni di Brescia, ho avuto modo di assistere, nell’ambito dell’annuale Rassegna del Sorriso diretta da Gianni Calabrese, alla rappresentazione, da parte della Compagnia PrimoIncontro, di  «Morso di luna nuova», ispirata appunto all’omonimo lavoro di Erri De Luca e…

La storia:

Estate del 1943. Siamo a Napoli, alla vigilia di quelle quattro giornate che segneranno la cacciata dei tedeschi dal capoluogo campano. Alcune persone, di diversa estrazione sociale e ideologica, si ritrovano costretti a più riprese in un rifugio antiaereo, mentre le bombe degli Alleati (il fuoco amico, se può essercene uno) cadono a grappoli sulla città e sul Golfo. Una situazione claustrofobica, in cui, non riuscendosi a parlare con convinzione del futuro, ci si rifugia in un passato almeno conosciuto e in rassicuranti banalità quotidiane. Uno stagno emotivo nelle profondità del quale prima germogliano, poi improvvisamente vengono a galla, riscatti personali e civili e volontà di ricominciare. Anche se, inevitabilmente, per qualcuno dei rifugiati ci sarà un salato prezzo da pagare.

Il messaggio:

La vita è un continuo bombardamento, per scampare al quale, però, c’è sempre (o quasi sempre) un rifugio. Come tutti i rifugi, però, spesso si tratta di un andito angusto, da condividere con se stessi e con altri cercando per quanto possibile di evitare che le minacce e le violente sollecitazioni del mondo esterno possano arrivare a incrinare un indispensabile e irrinunciabile equilibrio interiore. Un luogo del corpo, sì, ma anche e soprattutto dell’anima, insomma, in cui possano trovare spazio la speranza, la voglia di ricominciare e una qualsiasi forma di amore.

Lo spettacolo:

Di buon livello medio e sufficientemente corale la recitazione; tra gli interpreti segnalo due conoscenze di questo blog, Daniela Amoroso e Pino Oriolo che con il commissario Cardona, attraverso la Compagnia Girovaga delle Impronte, hanno avuto più volte a che fare. Semplice, essenziale ed efficace, così come richiesto dalla situazione, la scenografia.

Ordinata e puntuale nella scelta dei tempi  la regia , che ha puntato sulla “fedeltà” al testo, pur cercando, per quanto possibile  (vds. punti 2 e 3 della nota in premessa) di movimentare con originali trovate sceniche, una narrazione squisitamente letteraria che, portata sul palcoscenico così com’è stata scritta, finirebbe per avvitarsi in un succedersi di dialoghi statici , non in grado di coinvolgere completamente gli spettatori.

Nota non proprio di merito, invece e ahimé, per l’approssimazione della “colonna sonora” che accompagna lo spettacolo (eccezion fatta, naturalmente, per il bel cantare, squisitamente partenopeo, di Maria Malanga): l’eco delle bombe, essenziale per la creazione della giusta atmosfera, e il cinguettio di un canarino, simbolo non secondario nell’insieme del racconto, risultano approssimativi e improvvisati.

Peccato davvero.

 

 

  GuittoMatto