Goodmorning Brescia (119) – C’è un Paese dei Campanelli anche in provincia d Brescia

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Quelli di adesso li chiamano “musical” e spesso, come si dice in gergo, fanno a lungo cassetta.  Da Jesus Christ Superstar a Hair, da Cabaret a Moulin Rouge, da Singing in the rain a Dirty Dancing, da Notre Dame a Giulietta e Romeo, a West Side Story a Grease, a I Miserabili, a Chicago (e chissà quanti importanti e belli ne ho lasciati indietro) è stato, nel corso dei decenni, un susseguirsi di successi a Brodway, nei teatri del mondo e al cinema.

In realtà, a ben vedere, di altro non si tratta che dell’evoluzione di un prodotto che in Italia e nella Mitteleuropa della Belle Époque andava alla grande già oltre un secolo orsono.

Tecnicamente parlando, l’operetta è uno spettacolo che ricalca la struttura del melodramma con arie, recitativi, duetti. La storia dell’operetta ha radici lontane: da un lato la ballad-opera di lingua inglese, dall’altro il Singspiel tedesco e il vaudeville francese. 

Fatta questa doverosa (ma probabilmente per molti noiosa) premessa, non resta che passare  a ciò che ha ispirato questo mio post.

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Eccolo qui, di nuovo un articolo firmato da Costanzo Gatta, che (con tutta la simpatia del mondo e con rispetto parlando) è più curioso di una scimmia e ha più occhi (soprattutto -ma non solo- per tutti i personaggi, gli avvenimenti, le spigolature che girano intorno e all’interno del mondo dell’Arte, della Cultura e della Storia) del mitico Argo Panoptes, anche nella sua versione pavonica.

Questa volta, l’attenzione del giornalista del Corriere della Sera, si è puntata, appunto, sull’operetta e, in particolare sul brescianissimo Gruppo Musicale Caronte (il cui nome invero richiama più una Commedia, e per di più Divina) di Elena Trovato che questa forma di spettacolo coltiva e cerca di diffondere con tutte le proprie energie.

Domani sera, per esempio, saranno in scena a Villa Badia di Leno con  l’immortale «La vedova allegra».

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Compito non agevole, quello del Gruppo Caronte, visto che, per natura, l’operetta è tipologia di evento che richiede cast numerosi e scenari sontuosi che poco vanno d’accordo con le ristrettezze economiche che, ai nostri giorni colpiscono e costringono, ahimé!, anche impresari e teatri. Come Gatta racconta, ancora una volta, la passione e l’italica astuzia, ancora una volta (leggete il suo articolo per leggere come e perché) alla fine l’hanno spuntata, con una soluzione di grande inventiva e praticità che consente la messa in scena di eventi per così dire light.

Di mio aggiungo che, effettivamente, Brescia potrebbe fare molto di più in proposito: che di dovere, per esempio, potrebbe prendere magari in considerazione, allorché saranno pienamente operativi nuovi spazi teatrali (come quello doppio, di ambizioso progetto, del Teatro Ideal di via Milano)  di riservare in modo continuativo una serie di appuntamenti proprio al “teatro musicale” di vecchia e nuova generazione.

Lanciato il sasso… non nascondo la mano.

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A proposito dell’articolo di questo post:   «Il Paese dei Campanelli»  è un’operetta in tre atti scritta da Carlo Lombardo con la musica di Lombardo e Virgilio Ranzato, composta nel 1923 e andata in scena con successo il 23 novembre di quello stesso anno al Teatro Lirico di Milano, diretta dal compositore con Lina Di Sambon, Dina Evarist, Piero Zacchetti, Riccardo Massucci e Carlo Rizzo.

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   Bonera.2