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Gli ingredienti che usa Stephen King, a ben vedere, sono sempre gli stessi: le forze oscure del Male contrapposte a quelle più occulte e misteriose ancora del Bene, le tenebre che infestano certi siti maledetti e le anime degli esseri umani, mostri più o meno riconoscibili, menti eccelse che faticano a essere contenute indeboliti dalle psicosi o dalle malattie, il destino, la forza dell’amicizia, gli effetti taumaturgici del “fare squadra”, le inquietanti e spesso minacciose dimensioni parallele, il necessario sacrificio di pochi per tentare di salvare molti., il coraggio di spogliarsi delle proprie certezze per credere… anche all’incredibile.
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Criticarlo per questo, però, sarebbe un po’ come criticare uno chef stellato accusandolo di usare farina, zucchero, uova, patate, spezie, come fa tutti i giorni che Dio manda ogni buona casalinga (o casalingo).
Perché è come combinarli, certi ingredienti, come cuocerli, come presentarli nel migliore dei modi nel piatto, che è difficile, e il nostro Re di Portland, in questo, non è secondo a nessuno al mondo.
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La trama:
In una piccola città della grande provincia americana, un bambino viene violentato e trucidato nel più barbaro dei modi. Un avvenimento agghiacciante che scuote la vita della comunità, che reclama un colpevole. Viene arrestato, senza molti riguardi, un uomo che, sino a quel momento, si è comportato da cittadino integerrimo sotto ogni punto di vista, al punto di essere diventato un vero e proprio punto di riferimento per l’educazione non solo sportiva delle nuove leve. Peccato che alle prove inconfutabili della sua colpevolezza, si contrappongano prove, altrettanto inconfutabili, della sua innocenza. Bisognerebbe capire, prima di ogni altra cosa, come fa un essere umano a essere presente nello stesso momento in due posti lontani tra di loro centinaia di chilometri. La soluzione del caso, a questo punto, non potrà mai arrivare dall’aula di un tribunale: per arrivare alla verità un gruppo di coraggiosi dovrà intraprendere un pericolosissimo viaggio nelle tenebre del Male e all’interno delle proprie insicurezze.
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La mia lettura:
Forse non sarà il più bel romanzo scritto da Stephen King, ma, senza ombra di dubbio, si tratta di una storia ben congegnata e raccontata. A cominciare dalla maliziosa “trappola iniziale” che l’autore tende ai lettori: quella di far credere che il protagonista delle oltre 500 pagine di cui è composto il libro sia uno che invece…
Nell’ «Outsider», come già premesso all’inizio di questo post, sono presenti molte delle tematiche care a SK, compreso quel divertito ammiccare alle tradizioni “spaventa-bimbi” dei bei (?) tempi andati: stavolta tocca a un uomo nero messicano, il tenebroso El Cuco, accompagnato dalla ironica memoria dei b-movies ispanici della serie delle pittoresche “luchadoras”
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Ritmo serrato, colpi di scena continui, dalla prima all’ultima pagina. Orrori in quantità. Per chi ama King e il suo mondo, un’ottima lettura.
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Il Lettore