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Ebbene sì.
“La morte è un accadimento del tutto naturale, di cui, per paura, si preferisce non parlare mai”.
È con questa premessa (fatta dal palcoscenico prima dell’inizio dello spettacolo dalla professoressa Elena Bonometti, membro del consiglio di amministrazione del Centro teatrale bresciano, nonché ormai tradizionale anima e infaticabile organizzatrice di questa iniziativa) che parte la bella serata presso un teatro San Faustino di Sarezzo completamente gremito di spettatori.
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La morte, dunque. Anzi, in questo caso quel periodo che la precede immediatamente e che in ospedale (e ancor di più in un Hospice) risulta ancora più toccante. In due letti giacciono due anziane pazienti, circondate dall’affetto dei loro familiari: modi diversi di affrontare l’ultimo passo in situazioni diverse ma convergenti a causa della presenza del figlio di una e della figlia dell’altra che, proprio in quell’ambiente intriso di sofferenza incontreranno il loro primo autentico amore.
La pièce, che s’intitola «Domani», è il risultato del tradizionale saggio didattico annuale realizzato (con il patrocinio del Comune di Sarezzo) dal laboratorio teatrale Primo Levi e reca la firma, come gli altri che l’hanno preceduta, di Giulio Forbitti.
La drammaticità della situazione che, inevitabilmente, porta le malate a ripiegarsi su quel che è stata la propria esistenza, concentrandosi (come puntualmente accade al tramonto della vita di ciascuno) su rimpianti e rimorsi, almeno per quanto lo consente la gestione del dolore fisico provocato dalla malattia) è attenuato dall’affettuoso calore dei congiunti (portati, nel momento della prova più dura, a solidarizzare tra di loro) e dalla professionale quanto sollecita solidarietà di medici e infermieri. In più, l’approssimarsi di un modesto ma attesissimo “tisana party” ancor di più a distrarre e a sollevare gli spiriti.
Più serena e rassegnata una delle due malate, più scettica e ribelle l’altra, quel “tisana party”, ahimè, non lo vedranno mai, ma resterà la buona educazione dell’anima che hanno trasmesso ai propri figli avviati verso un comune futuro di speranza.
Il messaggio del testo si concentra e si esplicita nell’ultima battuta pronunciata in scena che richiama il titolo: “Domani, che bella parola!”.
L’invito, tacito ma evidente, è quello di non ridursi all’ultimo momento per apprezzare al meglio la bellezza e la magia di una vita che tutti dovrebbero considerare un dono da vivere quotidianamente con tutto l’entusiasmo di cui si dispone.
Lodevolissimi tutti gli interpreti che, pur non essendo dei professionisti, con grande entusiasmo e profondendo il massimo impegno riescono a interessare e coinvolgere il pubblico dall’inizio alla fine. Attenta e puntuale la regia, efficace (pur nella sua essenziale e spartana semplicità) la scenografia.
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Molti e meritati gli applausi e i consensi che salutano gli attori festanti a fine spettacolo.
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Bonera.2