«Renatissimo» spettacolo prodotto dal C.T.B. e affettuosamente dedicato da Enzo Decaro al ricordo (ma direi meglio alla simbolica reincarnazione) di Renato Carosone, è uno di quelle rappresentazioni che, come scenografia, hanno bisogno soltanto della parole, delle note e da quel sottile ma rilucente quanto prezioso velo di nostalgia di un grande personaggio ancora incastonato tra passato e presente.
E, infatti, all’aprirsi del (simbolico) sipario, sul palcoscenico ci sono soltanto le quattro postazioni dei musicisti (gli Ànema) e la presenza incombente di un pianoforte.
Poi arriva Renato Carosone, interpretato dallo stesso Decaro, e s’impadronisce della scena semplicemente… raccontando se stesso.
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Il percorso è lineare, lo stesso che unisce nell’esistenza di ciascuno di noi l’α e l’ω. È la narrazione di una parabola di vita contraddistinta dalla curiosità, dall’arguzia, dalla filosofia esistenziale, da quella saggezza popolare sanguigna e spesso dissacrante che contraddistingue, più di ogni altra cosa, la napoletanità.
È anche un viaggio nella storia dell’Italia che si lecca le ferite inferte dalla guerra, si rialza e affronta coraggiosa la sfida di una nuova rinascita, passando attraverso l’effervescente periodo della ricostruzione e del boom economico. Cavalcando l’euforia del boom economico, quando tutto sembrava possibile, poco realistica a lunga scadenza, come poi dimostrato dai fatti, ma indiscutibilmente coraggiosa.
E la carrozza che trasporta interpreti e spettatori in questo viaggio nel tempo e nell’anima, ovviamente, sono le canzoni di Renato Carosone, una serie incredibile di intuizioni, di idee di successi, tra tra boogey, tarantella, ragtime, paleorock, musica popolare latina e quei ritmi arabegianti che costituiscono il bagaglio del mai sopito amore per l’Africa e il Medio Oriente, a segnare la crescita di una generazione se non di una nazione.
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Torero, Caravan Petrol, Tu vuò fà l’americano, La pansè, Pigliate ‘na pasticca, Piccolissima serenata, Io mammeta e tu, Luna Rossa, Chella là, Maruzzella, insieme a molti altri indimenticabili pezzi, suggestive tessere unite in un mirabile puzzle, ma conservando ciascuna la propria dignitosa identità, segnano indelebilmente un fenomeno di costume, un avvenimento non solo italiano, una moda, un tic popolare, un affresco di sentimento fissato nell’epoca come una farfalla inchiodata a un pannello di legno da collezione, addolcendo e illanguidendo gli spettatori a seconda dei casi e del contesto narrativo.
Tutto questo, Enzo Decaro riesce a farlo nel più efficace dei modi, particolarmente ispirato e calato nel personaggio, trovando modo di dialogare, nel lungo e appassionato monologo, con le ombre nette che hanno condiviso la vita di Carosone: a cominciare dalla mamma, passando per l’eclettico co-compositore Nisa e la fantasiosa “spalla” tradizionale, il batterista Gegè Di Giacomo.
Una ciambella riuscita con il buco esattamente al centro, come si suole dire e come testimoniato dagli scroscianti applausi del pubblico, sia al momento dei saluti finali che nel corso stesso dell’evento, praticamente a ogni canzone e nei più significativi passaggi narrativi.
Insomma, un evento, ove possibile, da non mancare.
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GuittoMatto