Il romanzo di cui ci stiamo per occupare, raccolta di racconti firmato dallo scrittore romano Antonio Moresi per le stampe della Casa Editrice Serena, s’intitola «The four ages of man» è collocabile nel genere letterario che in italiano è conosciuto come fantascienza.
In inglese, invece, tale tipo di narrativa viene chiamato science-fiction, ovvero, con traduzione letterale, «finzione a sfondo scientifico».
Non si tratta di una sottigliezza linguistica, non solo almeno. A mio modo di vedere, infatti, trovo che la definizione anglosassone sia più pertinente e applicabile al contenuto di questa opera. Una premessa della quale, sempre che abbiate la pazienza e la bontà di proseguire fino in fondo nella lettura della recensione, comprenderete pienamente l’origine e le motivazioni.
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Cominciamo con il ricordare che di Antonio Moresi ho già avuto modo di occuparmi nel febbraio del 2020, alla vigilia ciè del deflagrare della “epidemia del secolo”, allorché fu dato alle stampe il suo precedente libro, intitolato «I sette gradini dell’abazia», vincitore del prestigioso premio Garfagnana in Giallo riservato ai testi inediti e pubblicato da Bacchilega Editore. Potrete leggerlo o rileggerlo, se ne avete la curiosità, semplicemente cliccando sul link sottostante.
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Ma veniamo (finaklmente, dirà qualcuno) a «The four ages of man».
«Per chi non crede a una fantascienza del Futuro» recita il sottotitolo di «Una vita non vissuta», il quinta e ultimo racconto che compone questa snella raccolta. Dunque anche per lo stresso Autore che, a mio modestissimo modo di vedere, più che a una fantascienza del futuro, crede (o finge di credere) a una fantascienza del passato.
Perché è esattamente questo il messaggio che emerge nitida (confermando quanto già trapelato in diverse delle opere precedenti: partendo (non so dire quanto in modo traslato e quanto per percorso autonomo) dalla suggestione dell’archeologia misteriosa e da quella degli antichi astronauti di cui, negli anni sessanta, si fece tra i massimi interpreti Peter Kolosimo, al secolo Pier Domenico Colosimo. Uno scrittore popolarissimo all’epoca che, in chiave reinterpretativa della storia dell’Umanità, ipotizzò la visita di esploratori appartenenti a civiltà di origine extraterrestre agli albori della Storia.
Altro trasparentissimo e ricorrente riferimento nelle cinque narrazioni succinte quanto conviene a una raccolta di racconti, ma tutte di ampio respiro, quello al Maestro del cinema Stanley Kubrick e, in particolare, come facilmente immaginabile, al suo «2001 Odissea nello spazio» (scritto con Arthur C. Clarke, prodotto nel 1968 e vincitore dell’Oscar nel’anno successivo) la cui forza di suggestione ed evocazione non ha sino a questo momento manifestato il minimo segno d’invecchiamento e di obsolescenza e,, probabilmente, non ne manifesterà mai.
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E qui, anch’io, come David, il capitano dell’astronave Discovery, infestata dalla minacciosa e malvagia intelligenza artificiale (questo nome vi dice qualcosa?) del super computer Hal 9000, alla fine di questa recensione, torno all’inizio.
Alla fantascienza del passato, tanto per intenderci, talmente cara ad Antonio Moresi e talmente nelle sue corde, da sedurlo al punto di credere egli per primo a una bellissima favola condita di tecnologia, riferimenti storici e culturali ma, soprattutto, di una straripante e contagiosa fantasia.
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La scrittura, pulita e pienamente intonata agli argomenti trattati, rende scorrevole e piacevole la lettura. Fino ai “ringraziamenti” finali di rito che i più fedeli followers di questa rubrica e di questo blog, ne sono certo, leggeranno con piacere.
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Antonio Moresi nasce a Roma negli anni Cinquanta. Da tempo abita tra le colline sabine, nei pressi della Capitale. Laureato in Scienze statistiche, opera nell’information technology. Appassionato di archeologia e Medioevo, scrive romanzi e racconti noir con ambientazione storica e brevi storie di fantascienza, spesso legate al passato mitico della Terra. è stato vincitore, nel 2012, del concorso letterario “Maya Letti” a Parma; finalista, negli anni successivi, ai concorsi “Porcellana d’Inchiostro” e “Garfagnana in Giallo”. Nel 2017 è stato premiato come terzo classificato in “Giulia in giallo”. Ultimo premio per un racconto giallo, come secondo classificato, al concorso “Le Ombre di Monteselva” di febbraio 2019, promosso dalle Edizioni Serena di Viterbo. Nel 2019 pubblica il suo primo romanzo “I sette gradini dell’abazia” vincitore del concorso per inediti Garfagnana in Giallo. Nel 2020 si aggiudica nella sezione racconti il coincorso nazionale Ranieri Filo della Torre.
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Giallo di fantascienza scorrevole è intrigante che appassiona e sensibilizza il lettore