Che Jean-Claude Juncker, che nel suo pedigree politico vanta la conduzione, nientemeno, di una Nazione vasta e popolosa come il Lussemburgo (con tutto il rispetto per i lussemburghesi, naturalmente) sia elastico come un tondino appena uscito da una fabbrica bresciana, lo sanno già tutti. Da segnalare anche un fascistissimo “me ne frego”, tanto per mettere una bella ciliegina su quella che i cowboy americani chiamavano “torte di vacca”
Ciò che stupisce di fronte alle sue più recenti e machissime esternazioni, fatte di esposizioni di muscoli e attributi, è però l’assoluta mancanza di fair-play e, soprattutto, di quell’indispensabile cocktail di memoria e visione prospettica.
Nell’ Italia Centrale, colpita a morte dalle scosse, la terra non ha smesso ancora di tremare.
Palazzi antichi, chiese e castelli stanno ancora venendo giù, pezzo per pezzo.
E ancora, come se non bastasse, l’incrudelire del clima infierisce sui disastrati abitanti dei luoghi, nuove scosse, e nuove scosse, e nuove scosse che sembrano non voler finire più.
E Jean-Claude e i suoi colleghi tecnocrati-burocrati-retrogradi pleistocenici compari, volete sapere cosa fanno?
Censurano, spostano la bilancia di un eventuale deroga alle arteriosclerotiche regole di deficit, da orologiai che cercano di aggiustare un orologio (l’Europa) al quale, invece, andrebbero semplicemente sostituite le pile (oltre che il PIL), da un più 0,3 o 0,4 a un più modesto 0,1.
Pietosi nell’immagine che danno di sé e, al tempo stesso, impietosi nei confronti di un Paese che, generosamente, stra assumendo sulle proprie spalle il peso dell’esodo biblico che sta stravolgendo il mondo.
Non mi auguro certo che il mare del nord esondi sommergendo campagne teutoniche e fiamminghe, né che una siccità prolungata o una nuova glaciazione carogna bruci i raccolti degli opulenti campi dell’Europa settentrionale e centrale.
Né che una meteora di rispettabili dimensioni precipiti su Berlino o Bruxelles.
Certo che no.
Di terremoti, visto che i Paesi mediterranei ne sono la casa di elezione, meglio non parlarne neppure.
Tutto, però, può accadere.
Nessuna nazione è forte abbastanza di resistere a un’improvvisa quanto violenta pazzia della Natura, del Pianeta, dell’Universo.
E allora, se dovesse accadere qualcosa del genere, l’Italia…
L’Italia, mi sento di scommetterci centomila euro contro cento datteri, metterebbe da parte e dimenticherebbe ogni offesa. Più smemorata degli altri, ma nel bene, e, con tutte le proprie forze, ancora una volta correrebbe in soccorso. Con il cuore e l’entusiasmo che –da sempre- costituiscono il vero valore e il vero preziosissimo tesoro, del nostro popolo.
Senza mercanteggiare sullo 0,1 o sull 0,2%.
Valerio Vairo