Post-it (3) – Per Tiziana qualcuno dovrà pagare il conto

 Avete presente quegli articoli che un giornalista non vorrebbe mai scrivere?

Beh, eccone uno.

Questa è la notizia:

Tiziana Cantone, tempo fa, accettò di essere ripresa in un video hard nel corso di un amplesso. Il filmato, immesso in una cerchia ristretta di utilizzatori di WhatsApp,  finì poi (a insaputa della ragazza) on line, a diffusione virale, causando una serie infinita di commenti, post e quant’altro che finirono per sconvolgere la vita della giovane donna. Ora la vicenda si è conclusa con un suicidio per impiccagione (effettuato con l’ausilio di un foulard) nello scantinato della casa di Mugnano, in provincia di Napoli, in cui Tiziana si era trasferita proprio nell’intento di defilarsi. Un drammatico e sconvolgente epilogo che deve fare amaramente riflettere sulle insidie del web e, soprattutto, su quella necessità di rispettare la persona che, nel caotico sviluppo di chiacchiericcio informatico, si è andata rapidamente e inesorabilmente perdendo.

Ora mi chiedo: ha sbagliato, Tiziana Cantone?

Sì, ha sbagliato.

Non a permettere che il suo partner la riprendesse, affermare questo equivarrebbe a esprimere un giudizio morale su ciò che la morale non può giudicare. Io ritengo infatti che la libertà di espressione della propria sessualità sia inviolabile: un adulto, purché consapevole e consenziente, ha il pieno e insindacabile diritto di indulgere a qualsiasi divagazione erotica ritenga di voler percorrere e sperimentare.

In cosa, dunque, ha sbagliato Tiziana Cantone?

Nel valutare contesto e persone, ecco dove.

Nel fidarsi di qualcuno al quale aveva permesso di avvicinarsi più di quanto fosse opportuno e di una cerchia di (supposte) amicizie, pronte a tradirla con inqualificabile leggerezza.

Qui però si ferma il suo errore e comincia quello, ignobile, gigantesco e mostruoso, commesso da tutti gli altri, intessuto di superficialità, di sudicia malizia, di invidia per la sua bellezza, per la sua giovinezza e per il suo candore.

Candore, sì. Lo scrivo e lo urlo ad alta voce.

Perché il candore è quello dell’anima e del cuore, non ciò si comprende e si risolve negli organi genitali e nell’uso che, liberamente, se ne fa.

Il candore di Tiziana è quello che, paradossalmente (ma anche no) l’ha portata a scoprire con inerme raccapriccio la cattiveria del mondo. L’ha portata a sperimentare sulla propria pelle la lama crudele che la diffusa anonimia della Rete coltiva e spietatamente affila, a compiere l’amara scoperta di quella laida senilità dell’anima (negli oscuri e contorti meandri di menti inconsapevolmente e irreversibilmente tarate), incomprensibile e ingiustificabile, che induce la ggente a sporcare ciò che di bello e giovane (nell’entusiasmo, nella gioia di vivere e nella voglia di fare prima che nella situazione anagrafica) esiste al mondo.

A svilirlo, a mortificarlo, fino a distruggerlo.

E alla fine è stato reciso, il fiore.

È stato sradicato dal giardino della vita con gli artigli di una diffamazione becera, incancrenita e irriducibile, prima ancora che con un cappio di stoffa.

Molestie, diffamazione, violenza privata, istigazione al suicidio?

Scelgano i giudici, dopo avere investigato sui soggetti implicati e sulle responsabilità a loro carico; per quanto è accaduto a Tiziana, però, qualcuno dovrà pagare, e dovrà pagare caro.

 

 

  Valerio Vairo