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È dote propria di un grande giornalista, quella di saper riportare all’indietro il tempo e fermarlo in un certo preciso istante.
Saper estrapolare un fotogramma fissato nel pensiero e nella memoria, non troppo sgranato, ma neanche troppo nitido, perché dev’essere lasciato libero spazio alle volute nebbiose delle emozioni.
Lo ha fatto ieri Costanzo Gatta, sul Corriere della Sera, per preparare uno dei giorni della memoria più oscuri e dolorosi della Storia della Repubblica. Dolore ancora vivo e pulsante, sotto quell’esile tessuto cicatriziale che è tutto ciò che 40 anni sono riusciti a produrre.
Un vulnus forse incurabile, nel dare e nell’avere, per l’Italia e per la Democrazia.
Costanzo Gatta ha scelto di farsi aiutare, nell’ingrata quanto ambiziosa impresa, dalle testimonianze di tanti bresciani, di nascita e di elezione, sintetizzando in modo incisivo i ricordi di ciascuno di loro puntati su quel 9 maggio in cui furono fatte ritrovare dalle Brigate Rosse, nella centralissma via Caetani, le spoglie mortali di un grande uomo politico e grande statista, Aldo Moro.
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Scorrono una dopo l’altra (“Io ero a scuola” “Io stavo lavorando in fabbrica, il sindacato indisse subito uno sciopero” “Io, carabiniere, presidiavo in servizio di ordine pubblica una sede del Movimento Sociale, con tanto di giubbotto antiproiettile e mitraglietta“, “Io, chirurgo, ero in sala operatoria“, “Io in un bar, avendo marinato la scuola per evitare un compito in classe“, “Io lo seppi dalla tv“…
Inevitabilmente, anche la memoria del lettore si mette in moro, alla ricerca di un ricordo.
Quel ricordo.
E, puntualmente, non senza sofferenza, lo ritrova.
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Bonera.2