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Si è conclusa oggi pomeriggio al San Carlino la prima “sessione” di «Teatro aperto», la rassegna di letture sceniche ideata, organizzata e realizzata da Elisabetta Pozzi.
Nonostante il clima, nelle vie della città, sia ormai irrimediabilmente natalizio, «Bambino mio divino», titolo della pièce della drammaturga statunitense Carol Carpenter, non c’entra assolutamente nulla con la ricorrenza della natività di Nostro Signore.
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La trama è piuttosto cruda:
Jimmy (Fulvio Pepe), legale di un certo successo, malato però di attacchi di rabbia improvvisi e pregiudizi omofobi, al rientro in casa, scopre il figlio quindicenne Tyler a letto, nudo, con un uomo adulto, nudo anche lui. Scosso dalla scena, picchia a sangue il figlio che finisce in coma in ospedale. Al capezzale del ragazzo si alternano i componenti di una famiglia disastrata che, oltre al padre snaturato, comprende una nonna bigotta (Nonna Jo – Elisabetta Pozzi), la madre alcolizzata (Suzanne – Anna Scola) e la zia (Jennifer, donna in carriera sin troppo pragmatica – Carlotta Viscovo). Unico personaggio positivo e fattore di equilibrio l’insegnante di musica Kenny (anch’egli omosessuale – Alessio Maria Romano vittima anch’egli, in giovinezza, delle percosse di Jimmy.)
Dal confronto di questi personaggi, lungi dal compattarsi al cospetto di un’autentica tragedia domestica, ciò che viene fuori è il peggio del peggio e gli angoli, invece di smussarsi, si acuiscono fino a diventare aguzzi e taglienti come coltelli. I
Finché, nell’approssimarsi dell’epilogo. Senza che se ne spieghino bene le motivazioni e la genesi, dalle macerie morali di una negatività concentrata persino in misura esagerata in un solo nucleo familiare, da un momento all’altro, senza però che se ne illustrino bene le ragioni, dalle macerie spunta una sia pur tenue luce di speranza, resa intollerabilmente caramellosa da una preghierina recitata in comune e dal canto corale di una dolce melodia.
Una volta, a Torino, il grande Ed Mc Bain mi confidò che di un suo meraviglioso romanzo (“Conversazioni criminali”) avevano acquistato i diritti di trasposizione cinematografica Tom Cruise e Nicole Kidman. Beh, nion arrivò mai sugli schermi perché i due si ostinavano a chiedere a Mc Bain di cambiare il drammatico finale e lui… non ne voleva (e coerentemente non ne volle) sapere.
Niente da fare: secondo gli americani al pubblico piace solo il lieto fine.
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Molta carne al fuoco, insomma (omosessualità/omofobia, dipendenze varie, manie religiose, contrasti sociali, la vacuità di una certa provincia americana, fattori stressanti di varia natura) ma poco o nulla di veramente nuovo. Per fortuna l’essenziale ma efficace lavoro della regia e la maestria di tutti gli interpreti (accidenti quant’è brava Elisabetta anche nel casting!) regalano comunque allo spettacolo una certa attrattiva, confermata dai convinti applausi finali tributati dal pubblico che (more solito) gremiva il teatro.
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