Il kintsugi (金継ぎ), o kintsukuroi (金繕い), letteralmente “riparare con l’oro”, è una tecnica di restauro ideata alla fine del 1400 da ceramisti giapponesi per riparare tazze in ceramica per la cerimonia del tè, Cha no yu. Le linee di rottura, unite con lacca urushi, sono lasciate visibili, evidenziate con polvere d’oro. Gli oggetti in ceramica riparati con l’arte Kintsugi diventano vere opere d’arte: l’impreziosire con la polvere d’oro accentua la loro bellezza, rendendo la fragilità un punto di forza e perfezione. Ogni ceramica riparata presenta un diverso intreccio di linee dorate unico e irripetibile per via della casualità con cui la ceramica può frantumarsi. La pratica nasce dall’idea che dall’imperfezione e da una ferita possa nascere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore.
L’arte Kintsugi vede la sua origine in Giappone nel periodo Muromachi, sotto lo shogunato di Ashikaga Yoshimasa (1435-1490). Yoshimasa ruppe una delle sue tazze tenmoku; venne affidata a ceramisti cinesi che la cucirono, seguendo le linee di rottura, con graffe in ferro. Furiosa fu la reazione dell’ottavo shogun quando vide la sua tazza così rovinata. I maestri ceramisti giapponesi cercarono di mettervi riparo usando l’estetica del wabi sabi e i materiali a loro disposizione: per incollare i pezzi rotti della tazza venne usata la lacca urushi; le linee di rottura vennero ricoperte con polvere d’oro. Il risultato ottenuto fu apprezzato da Yoshimasa; la sua tazza non solo era stata riparata ma aveva preso una vita nuova, carica delle sue imperfezioni e proprio per questo ricca di bellezza: era diventata unica.
La parola “kintsugi” si scrive coi kanji 金継ぎ, che rispettivamente significano “oro” (金) e “aggiustare” (継ぎ). Letteralmente possiamo tradurlo con “aggiustare con l’oro” o anche “toppa dorata”. Certe volte, soprattutto in Occidente, si può incontrare anche il nome di Kintsukuroi, scritto coi kanji 金繕い e tradotto con “oro” e “riparatore” (繕い), quindi “riparatore che usa l’oro”.
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Chiedo venia per la lunga introduzione di questo articolo. Un premessa che però (come avrete modo di constatare voi stesso se avrete la bontà e la pazienza di proseguire nella lettura) era assolutamente necessaria prima di procedere con la recensione vera e propria. Mi riferisco, naturalmente, alla raccolta di racconti scritti da Adelfo Maurizio Forni e pubblicata da Genesi Editrice che proprio il titolo «Kintsugi» reca impresso in copertina.
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Il Libro:
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Nella vita di ogni essere umano, inevitabilmente, si verificano accadimenti che in qualche modo infrangono le difese, minano le certezze acquisite e, oltre a frantumare qualcosa, all’interno dell’anima, minacciano di devastare completamente ogni speranza di futuro.
Questo è l’assunto da cui parte e che al tempo stesso esplora, con la forza della razionalità e della fantasia letteraria, la raccolta di racconti essenziali, snelli ma mai banali ideata e scritta dallo scrittore gallaratese. Una suggestiva galleria di ritratti legati tra loro come le perle di una collana, eterogenei nella tipologia di personaggi e nellaq collocazione temporale ma accomunati dalla struttura narrativa e dal messaggio veicolato: la rottura (se non, a volte, la rovinosa frammentazione) capace di minare alla base un’esistenza, ma che, se affrontata nel modo giusto, cioè con fantasia e con un pizzico di fortuna, può trasformarsi in una favorevole ripartenza o, se non altro, in una preziosa riparazione.
Ed eccole lì le molto comuni ma altrettanto didattiche figure che si alternano nelle pagine di «Kintsugi». Ne ho scelti alcuni tra i tanti.
Oksana Avilov, grande soprano ucraino che il divampare della guerra (tuttora sanguinosamente in corso) aiuta a scoprire in sé il seme della generosità e di un eroico spirito di abnegazione e sacrificio. Il vacuo conte Amedeo Maria Vianello, costretto suo malgrado da avversi venti economici a raddrizzare la schiena e a cominciare (finalmente!) a lavorare seriamente, scoprendo, a sua stessa insaputa, di essere dotato di qualità non comuni come venditore. Poi lo scaltro Edoardo, frequentatore delle alte sfere della Curia che, trovatosi al centro di un complotto planetario, dimostra di potersela cavare anche in certe situazioni. Le sorelle scandinave Astrid e Camilla che, sperimentata la bruttissima avventura italiana di una violenza, s’impegnano a ricostruire un rapporto sereno e proficuo con un Paese che continuano ad amare, nonostante tutto. E via così, fino al Professor Filippo Frattini, uomo di grande cultura e talento letterario, che la sua fortuna artistica alla fine la incontra, pur se in modo postumo; e che, non so perché ma sono convinto di cogliere nel giusto (anzi, il perché lo so, visto come ne viene abbozzato il ritratto) sento collegato a doppio filo con la personalità e l’essenza del bravo Adelfo Maurizio Forni.
Per quel che lo conosco e, dopo avere letto questa sua opera, probabilmente lo conosco ancora troppo poco.
Ebbene sì, tutti i protagonisti dei racconti sono, nella sostanza, personaggi raffinati dalla fortuna avvera e/o dalla sofferenza, proprio come i preziosi ma fragili vasi creati dall’inventiva e dall’abilità manuale degli straordinari artigiani cinesi che, una volta ridotti in pezze, acquistano dalla loro accurata e ispirata rimanipolazione un valore pari se non superiore a quello che era stato attribuito loro nella precedente vita.
Un libro che, partendo da un’idea geniale, l’Autore confeziona con idee semplici ma profonde. E soprattutto, al giorno d’oggi non è poi cosa così facile da incontrare, con una scrittura nitida, scorrevole e suggestiva. Da leggere, decisamente.
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L’Autore:
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Adelfo Maurizio Forni è nato a Gallarate nel 1948.
Dopo la maturità al liceo classico, si laurea in Giurisprudenza a Milano ed esordisce come legale a Gallarate. Segue a breve l’assunzione in Montedison e la prima occasione di scoprire l’Europa e il Medioriente nei frequenti viaggi di lavoro. Oltre dieci anni nella Discografia ed Editoria Musicale, lavorando prevalentemente all’estero, per CGD Messaggerie Musicali e Ariston, dove collabora con compositori e artisti di successo, promuovendo tra l’altro la music-made-in-italy nel mondo. Nominato Manager dell’Anno 1979 dalla Camera di Commercio Italiana per gli scambi con l’estero. In questi anni, varie collaborazioni con stampa di settore e non. Si sposta a Roma, unendosi a due società specializzate in Eventi Comunicazione e Turismo. Successivamente viene chiamato nel Groupe CEDEC, Centro Europeo di Evoluzione Economica di Bruxelles, nel quale rimane per quindici anni, ricoprendo vari incarichi quali consulente di direzione e organizzazione aziendale, direttore del dipartimento relazioni, assistente alla direzione generale.
Già dagli anni settanta i suoi primi interventi nel mondo della cultura e dell’arte per la Galleria Arte Centro di Gallarate, con lo scultore Di Martino e con il pittore De Gregorio a Todi, illustrazione poetica delle sue opere. Dal 2016 si dedica soprattutto alla scrittura nonché all’organizzazione di reading, showcase, mostre d’arte, presentazioni libri: recentemente, Il Cardinale Efrem Forni, diplomatico vaticano di Lorenzo Filippo Guenzani, Gran Hotel Continental di Gianni Daldello con il giornalista Mario Chiodetti, reading per la celebrazione della “13ª giornata dell’Arte Contemporanea Amaci” nella Galleria Ghiggini 1822 di Varese, showcase a Milano dell’album Scusa se sono un poeta realizzato dal duo SecondaVita, Umberto Longoni e Tony Dresti.
Tra le pubblicazioni: Artbox: dalle parole alle immagini, dalle immagini alle parole nel 2017 (in collaborazione con il fotografo Roberto Calvino, la pittrice Marida Tagliabue, e il critico Nuccio Orto, libro componibile presentato al Museo Arte di Gallarate MA*GA). Nel 2018 pubblica il libro Nostos, Genesi Editrice
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