Le Uova di Colombo (18) – Una gran bella penna nera

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Attenzione: qui si trattano OVVIETÀ NON PERCEPITE: spunti di riflessione su quegli argomenti che sembrano banali e scontati ma che, per molteplici quanto validissime occasioni, molto spesso non risultano affatto tali.

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Essere sospesi a metà tra l’inevitabile compiacimento provato al cospetto di una organizzazione curata nei minimi termini e di una procedura finalmente ben oliata e avviata e una bizzarra situazione di “déjà vu / déjà vécu”.

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È esattamente questo lo stato d’animo con cui ho vissuto il mio personalissimo “Vax Day”. Si badi bene: ho detto personalissimo, ma non certo solitario. Insieme a me, infatti, sistemate nei grandi spazi della Fiera di Brescia, in via Caprera, centinaia, migliaia di persone tutte in attesa della stessa cosa.

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Tutte, con ogni probabilità che avvertivano emozioni e sensazioni analoghe: da una parte l’incredula speranza di un avvenimento in qualche modo definitivo, capace di spezzare il sortilegio di una vita sospesa da un anno; dall’altra l’aspettativa, non disgiunta da qualche naturale preoccupazione di ricevere e ospitare nelle proprie vene, nella propria carne, una sostanza frutto della più massiccia e straordinaria impresa della chimica farmaceutica moderna, con l’individuazione, la realizzazione in tempi da record, la sperimentazione  e -infine- la somministrazione a enormi strati della popolazione, di un vaccino idoneo a prevenire una nuova minacciosa malattia dalle origini misteriose quanto oscure.

Eravamo tutti lì, seguendo scrupolosamente le regole del distanziamento, ansiosi che arrivasse il momento di scoprire il braccio per ricevere la puntura ma, al tempo stesso, disposti ad attendere senza protestare tutto il tempo necessario perché il complesso protocollo previsto venisse correttamente e completamente attuato.

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Un po’ di commozione l’ho provata, lo confesso, assistendo a un vero e proprio spettacolo di popolo, a una probabilmente unica occasione che ha visto, vede e vedrà nei prossimi mesi (per ripetersi chissà quante altre volte in futuro) riunirsi miliardi di individui disseminati sull’intero Pianeta Terra, affratellati da un anelito di speranza dopo tanti lutti, tante restrizioni e tanta sofferenza, sia fisica, che psicologica, che economica.

Di quale “déjà vu / déjà vécu” si accennava all’inizio di questo articolo, allora?

Immagini da cinema, di (probabilmente pessimi) film di fantascienza degli anni ’50 e ’60, in cui si narrava, con non troppo nascosti riferimenti alla Guerra Fredda allora in corso, di malvagi alieni provenienti dallo spazio profondo che, non potendo vincere con la sola forza delle loro tecnologicissime armi, soggiogavano i più fieri, resistenti e resilienti esponenti della razza umana con la subdola lusinga di un siero miracoloso. Vedevo i miei compagni di avventura disposti in file simmetriche, con il capo chino, impegnati a ingannare l’attesa con lo sguardo fisso su cellulari, tablet e altre diavolerie elettroniche del genere (al tempo dei B-movie peraltre sconosciute).

Una mera quanto ingannevole suggestione, ovviamente, probabilmente dettata dallo stress del momento e ispirata a livello subliminale da qualche organizzazione più o meno clandestina di “no-vax”, in collaborazione magari con gruppi di cacciatori di scie chimiche e di nano-particelle. Una ingenua divagazione che spero possa essermi perdonata, visto che anche io, come moltissimi altri, per fortuna, sono ben consapevoleche si vive in una gigantesca sfera di vetro trasparente e che, con tutta la buona volontà del mondo, il nostro cervello e  la nostra anima non possono e non potranno mai risultare del tutto impermeabili alla propaganda di faziosi abbastanza volonterosi da continuare a ripetere all’infinito le loro fesserie come se fossero vere.

Detto ciò… ma stavolta, Cristoforo Colombo e le sue uova, che caspita c’entrano? C’entrano, c’entrano, eccome, se c’entrano!

Per capire come e perché, però, bisogna tornare più su, alle prime righe, allorché si è scritto della straordinario lavoro che si sta riscontrando nell’hub vaccinale bresciano.

Bravi e professionali gli amministrativi, bravissimi i medici (tanti dei quali giovanissimi) e gli infermieri, ma una menzione speciale, a mio avviso, la meritano i bravi alpini che si sono fatti carico, con il consueto entusiasmo di curare l’operazione in ogni dettaglio logistico.

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Dire che la loro presenza in ogni luogo in cui se ne avverta la necessità porta ordine ed efficienza è davvero una ovvietà. Così come ricordare la disponibilità in ogni frangente, l’affabilità, la sensibilità, l’empatia e l’incredibile e instancabile attivismo che ne animano ogni gesto. A ricordarci, semmai ce ne fosse bisogno, che da una buona pianta non possono che nascere buoni frutti, e che una volta messa sul cappello quella benedetta penna nera si resta alpini per sempre.

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Quell’uovo, che resta superbamente in equilibrio sul tavolo della storia nazionale e nella nostra vita di ogni giorno, venuto in mente al sottoscritto mentre era in attesa di ricevere il vaccino (Astra Zeneca, per non tenere segreti), ve lo scrivo qui sotto, in bella evidenza:

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«Il meraviglioso corpo degli Alpini: nato per fare la guerra, risulta ancora più indispensabile in tempo di pace»

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Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è PatCdSott20Rid.jpg   Patrizio Pacioni (*)

(*)  Scrittore, drammaturgo e blogger