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Il personaggio:
Marilyn Monroe è lo pseudonimo di Norma Jeane Mortenson Baker Monroe. L’attrice nacque il 1 giugno 1926 a Los Angeles e si sposò tre volte: dal 1942 al 1946 con il vicino di casa James Dougherty, dal 1955 al 1956 con il campione di baseball Joe Di Maggio, dal 1956 al 1961 con lo scrittore e drammaturgo Arthur Miller.
Deceduta il 5 agosto 1962 a Brentwood per intossicazione da barbiturici.
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Fimografia:
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Lo spettacolo:
Al Teatro Sociale di Brescia, Lucilla Giagnoni torna sul luogo (anzi sul monologo) del delitto, riprendendo, a distanza di quasi undici anni lo spettacolo andato in scena il 20 maggio al Teatro Giuditta Pasta di Saronno.
«Non c’è stato bisogno di cambiare molto, da allora» ci dice la regista Michela Marelli.
«Quasi nulla, direi. Mi viene in mente l’aggiunta dell’auto-riferimento al Mostro della Laguna Nera rivisitato da Benicio del Toro ne La forma dell’acqua…» aggiunge.
Più che la storia di una donna e della sua misteriosa morte, alle cui ancora incerte cause si fa pure cenno attraverso una brevissima parentesi da crime-story, Marylin – attrice allo stato puro, attraverso una “fiaba tragica”, ricorda la nascita di una rivoluzionaria interpretazione della femminilità, di un mito onirico partito a livello personale e diventato collettivo e universale.
All’inizio dello spettacolo, Lucilla-Marylin esce lentamente dal buio, con il suo delirio di onnipotenza («Uscirò dall’ombra e scintillerò come se fossi fatta di luce» dichiara l’attrice) e le sue molte e devastanti insicurezze (non ascolta Ella Fitzgerald per non paragonarsi con tanta grandezza, che la schiaccia) intessute di ansie e paura di sbagliare.
Poi ride, si danna, scherza e si compiange. E canta, due cavalli di battaglia di MM, prima I wanna be loved by you, poi Bye bye baby, con grande pulizia e suggestione, devo dire. È, ancora una volta, diversa da sé e sorprendente e discorsiva, in continuo dialogo diretto con il pubblico. È ironica e autoironica, come quando, senza rete, paragona le sue “misure” a quelle di Marylin. «Al di là delle differenze fisiche e di età» -dice- «io e Marylin siamo entrambe fatte di pezzi rotti, come, a ben vedere, è fatto ogni attore».
Introietta ed elabora in profondità, Lucilla, e riversa nello spettacolo i sogni e le fobie della Monroe, le fantasie spesso scambiate per realtà. L’amara consapevolezza di Marylin di scoprirsi pin-up, letteralmente “appesa su”, come un manifesto appeso nel retro degli uffici, nella camere degli scapoli, sulle pareti dei barber-shop e nelle cabine dei camionisti.
Scorre via, intenso e piacevole, lo spettacolo, fino al convinto e prolungato applauso finale.
«C’è o ci potrà mai essere una nuova Marylin?» chiedo, dopo lo spettacolo.
«Assolutamente no» risponde convinta Lucilla.
«Marylin è unica e destinata a rimanere tale. È la reincarnazione di Edipo, il frutto di un’infanzia e di un’adolescenza intrisa di disperazione e irriquietezza, di cui lei prende consapevolezza, arrivando a un irreversibile squilibrio».
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«Com’è nata questa impresa?» domando ancora.
«Ti dico solo che ho impiegato cinque anni a convincere Lucilla a riprenderla» interviene Michela Marelli.
«Il sublime è difficile da portare in scena» ammette la Giagnoni.
«Entrare nell’anima di Marylin, per raccontarne la storia, mi ha permesso/costretto l’accesso a posti nascosti di me».
Ed è proprio questo, a ben vedere, il “dono”, meraviglioso ma a volte anche molto insidioso, di chi fa teatro e lo fa bene, come Lucilla Giagnoni
Gli interventi musicali sono di Paolo Pizzimenti.
Scene e luci, essenziali ma di grande suggestione, curate da Alessandro Bigatti e da Andrea e Massimo Violato.
Gli abiti di scena, insieme alla magistrale capacità d’immedesimazione dell’attrice, “monroizzano” in giusta misura narrazione e spettatori.
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GuittoMatto
Condivido in toto la tua recensione. E’ uno spettacolo da non perdere…assolutamente
Massimo